top of page
Cerca

DOMENICA DI AVVENTO - Anno B

  • Immagine del redattore: Gabriele Semeraro
    Gabriele Semeraro
  • 2 dic 2023
  • Tempo di lettura: 4 min

Oggi comincia un nuovo cammino per noi, il nuovo anno liturgico che ci introduce alla possibilità di un nuovo percorso e alla misericordia di Dio che ci concede un altro anno.

Le letture di oggi oscillano tra il desiderio di essere amati e l'attesa di ritrovare l'amato.

Nel tempo di Avvento spesso leggiamo il profeta Isaia e giustamente lo applichiamo a questo tempo a causa dei suoi riferimenti abbastanza espliciti rispetto al regno di Dio che viene.

Bisogna però essere onesti… i testi poetici di Isaia non sono commentabili essendo testi carismatici, cioè che partono dalla dimensione affettiva della fede. Pertanto posso limitarmi nel dire di rileggere questo testo e rendersi conto di un evidenza: è la poesia di persone innamorate, che hanno tradito, e che vogliono riconquistare l'amato… e vogliono farlo attraverso le opere. 

Dice il profeta: 

“Tu vai incontro a quelli che praticano con gioia la giustizia

e si ricordano delle tue vie”.

Usciamo dal linguaggio religioso e non parliamo di peccato, ma di tradimento. So che i puristi diranno ”è la stessa cosa”. Sì forse è la stessa cosa, ma no non lo è!

Potremmo riutilizzare il linguaggio tecnico, religioso, solo ed esclusivamente quando ci saremo riappropriati della dimensione affettiva della nostra vita anche spirituale e solo quando saremo tornati a vivere la vita nella concretezza.

Recuperare la dimensione affettiva implica ripartire dalla propria umanità uscendo da quella dinamiche che domenica scorsa ho definito come “da collo storto”, da santini e da maghi della religione.

Isaia parlando per il popolo, vuole provocare noi e vuole che facciamo nostre le sue parole. Allora io non ho commesso peccato, ho tradito chi mi amava. Esattamente come quando tradisco coscientemente la persona con cui ho un rapporto stabile, che sia matrimoniale o no non importa. Esattamente come quando ho tradito i genitori oppure i miei fratelli e sorelle, o ancora i miei amici.

Il dolore del profeta è il nostro dolore rispetto ad aver fatto qualcosa di male che ha causato il nostro allontanamento  da Dio.

Il profeta, come ciascuno di noi, vuole riavvicinarsi all'amato che tutto comprende e tutto perdona.

La seconda lettura e il Vangelo ci fanno ripartire dalla concretezza di una fede che è vita e dà una vita che testimonia con la carità la fede.

Le opere, le azioni della vita, diventano esse stesse testimonianza di un amore che ci precede e che ci abita.

Non serve a nulla fare buone azioni se poi il nostro cuore è altrove. E come quei genitori che dicono di non far mancare nulla ai propri figli, ma poi fanno mancare la cosa fondamentale che è la loro presenza reale.

Noi spesso riempiamo la nostra vita e le nostre relazioni di cose, di soldi e di soddisfazioni materiali, ma dimentichiamo che è l'atteggiamento del cuore e la presenza reale a rendere possibile che l'amore sia concreto.

Attenzione poi a non leggere scorrettamente questo Vangelo come spesso è stato fatto lungo i secoli passati… spesso si è vissuta l'ansia dell'attesa del ritorno di Cristo in chiave di giudizio universale, ma alla luce anche delle altre letture scopriamo che la chiave è un altra.

L'attesa deve essere sempre centrata sull'amore e sull'attesa del proprio amato, sulle azioni che rendono agevole l'incontro con lui.

L'amore non ti rinchiude in chiesa a sgranare il rosario, ma ti apre ad azioni concrete che poco hanno a che fare con le mille riunioni ed attività in cui noi ci affanniamo con tante scuse a cui diamo il nome di: parrocchia, pastorale, cristianesimo e volontariato.

So bene che ormai siete abituati al mio ribadire come alcuni aspetti della preghiera e della religione non siano automaticamente fede, ma non vorrei essere frainteso. Certamente la vita liturgica e le forme di pietà sono importanti perché la fede possa essere autenticamente una fede ecclesiale, cattolica.

Ciononostante la vera fede emerge solo ed esclusivamente attraverso la vita quotidiana, cioè come affrontiamo i dissapori e le gioie della vita.

Attenzione a quelle forme religiose, anche legittime, che però diventano violenza spirituale e umana. Come diceva un ragazzo a Chiavari: quando una persona puzza troppo di sagrestia e passa troppo tempo in chiesa solitamente è sintomo d'ipocrisia e di una profonda disumanità. I cristiani che passano troppo tempo in chiesa sono spesso cristiani polverosi che non sanno vivere e che, soprattutto, dimenticano l'esempio stesso di Gesù il quale non si è chiuso nel tempio, ma si è donato al mondo senza giudicare nessun fragile.

Questo cammino di preparazione al Natale sia allora un cammino di attesa amorosa, un tempo abitato da azioni buone che rispecchiano il nostro cuore e la nostra vita.

Come vi ho già anticipato domenica scorsa, se scegliete di mettervi in gioco fatelo bene, ma non affannatevi e non riempitevi di mille attività.

L'attesa deve essere operosa e amorevole, ma non affannosa e disumana… dobbiamo occuparci della vita e non preoccuparci di tutto! Soprattutto per quello che riguarda la struttura religiosa non sia per voi un affanno. Piuttosto dite qualche “no” in più qui dentro per dire qualche “si” fuori come testimonianza per i “lontani”.

Testimoniamo con la nostra vita chi stiamo attendendo con amore e facciamolo attraverso azioni di concreta gentilezza.

 
 
 

Comments


  • Facebook personale
  • Gruppo Facebook
  • Instagram profilo personale
  • Pinterest
  • Instagram Icona sociale
  • YouTube Icona sociale
  • Tumblr Social Icon
  • Twitter Clean
bottom of page