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Giovedì Santo

  • Immagine del redattore: Gabriele Semeraro
    Gabriele Semeraro
  • 6 apr 2023
  • Tempo di lettura: 5 min

Questo è un giorno estremamente importante per tutti noi perché nella liturgia di oggi festeggiamo e ricordiamo tante cose. Oggi Gesù istituisce la Chiesa intorno all'Eucaristia e quindi istituisce l'Eucarestia come presenza permanente della sua umanità e della sua divinità tra noi. Oggi è la festa di tutti i preti del mondo perché in questa cena viene istituito il sacerdozio ministeriale. È una cena importante perché in questa cena così grandiosa ha origine il tradimento di Giuda, ma anche quello di Pietro.

È una cena diversa, è un momento fondativo e fondante.

Confesso che nella riflessione su questo Vangelo sono fortemente condizionato da due grandi cristiani che hanno stravolto il modo di guardare della chiesa al mistero del giovedì santo, questi due sono Don Tonino Bello con il suo commento intitolato "Stola e grembiule" mentre l'altro è Don Primo Mazzolari con l'omelia del giovedì santo intitolata "Nostro fratello Giuda".

Due testi brevi ma che sono fondamentali da conoscere. Non sto qui a riassumerveli, ma sappiate che le cose che vi sto per dire hanno molto a che fare con questi due testi che commentano in fondo il vangelo di oggi.

Noi usiamo oggi come segno sacerdotale per eccellenza, anche se da molti sconosciuto, la stola sacerdotale.

Da dove nasce la stola? Non sono andato a fare una ricerca storica sulla stola, ma mi colpiva l'interpretazione di Don Tonino Bello che paragona la stola all'unico vero paramento che Gesù ha nella cena che è il grembiule. Si tratta del grembiule che io tra poco dovrò mettere per lavare i piedi ai nostri fratellini e alle nostre sorelline, un grembiule che rappresenta tutto lo stile di servizio non solo sacerdotale, ma anche di qualunque battezzato e battezzata. Vorrei allora soffermarmi anch'io sui tre verbi di questo Vangelo individuati da don Tonino:

  1. Si alzò dalla tavola;

  2. Depose le vesti;

  3. Prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita.


  1. Si alzò da tavola

Mi sembra che questo verbo rappresenti due cose… Prima di tutto l'Eucaristia non sopporta la sedentarietà. La mensa non è il punto di arrivo, ma è il luogo del ristoro da cui si parte.

L'Eucaristia ci obbliga a lasciare le nostre modalità residenziali, stazionarie, borghesi e abituate a balconare la vita per uscire fuori in un fuoco missionario. Troppo spesso le nostre liturgie vivono di autocompiacimento, di tradizioni, di sonnolenza lusingatrice, di sterili intimismi e di forme polverose che odorano di muffa di sagrestia. Se non ci si alza da tavola e non si esce dalla Chiesa allora l'Eucaristia resta un Sacramento incompiuto perché non rappresenta ciò che viviamo e non celebra la realtà.

Il fatto che Gesù si alza da tavola significa che i due verbi successivi che andremo ad affrontare hanno una valenza se collegati all'Eucaristia. 

In secondo luogo scopriamo che se prima non si è stati a tavola allora il nostro servizio rischia di diventare un volontarismo sterile, le nostre buone azioni attivismo per quietare la coscienza, le nostre azioni rischiano di diventare filantropia faccendiera che non ha molto a che fare con lo stile di Gesù Cristo.

Per tutti noi, a prescindere dal nostro stato di vita e alla nostra età, è essenziale avere familiarità con Cristo e con tutto ciò che rappresenta il pane e il vino. Dobbiamo imparare lo stile di svuotamento di Gesù, uno svuotamento che non è annientamento di noi stessi, ma pienezza di relazione con tutti


  1. Depose le vesti

Deporre le vesti è il paradigma non solo dello stile sacerdotale, ma di ogni cristiano battezzato, un paradigma strettamente legato all'Eucaristia.

Se siamo seduti alla mensa dell'Eucaristia dobbiamo deporre le vesti, vesti pesanti, vesti di cui spesso neppure ci rendiamo conto. Sono le vesti del delle nostre certezze, della ricchezza, del lusso, dello spreco, della mentalità borghese, della religiosità mondana cioè più attaccata alla tradizione che a Cristo, una forma religiosa qualunquista che azzera il messaggio salvifico di Cristo. Si tratta però anche di deporre le vesti demoniache dell'arroganza, dell'egemonia, del potere, della prevaricazione, delle raccomandazioni religiose e mondane, della corruzione, ecc…

Infine si tratta anche di sospendere il giudizio sugli altri. Giuda e Pietro partecipano entrambi alla comunione a prescindere dai loro peccati e a prescindere dalle loro decisioni. Gesù non emette un giudizio su nessuno dei due, ma a entrambi dà la possibilità della redenzione e la prima possibilità è rappresentata dal fatto che entrambi sono seduti alla mensa eucaristica.

Tolte tutte queste cose rimaniamo nudi e quindi dobbiamo rivestirci dei veli della debolezza, della povertà e della semplicità.

Deporre le vesti non è facile perché ci espone ed espone le nostre fragilità. Eppure Gesù stesso lo fa e si caricherà delle conseguenze del tradimento di Giuda e di Pietro.


  1. Prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita.

Ed ecco l'immagine meravigliosa "della chiesa del grembiule". La chiesa del grembiule non piace, è l'immagine simile all'ospedale da campo proposta da papa Francesco, una chiesa che non si arrocca sulle tradizioni e sul suo ruolo tradizionale, ma sceglie un'immagine più legata alla vita. Una chiesa che non nega la sua storia, ma sceglie di emanciparsi da essa e tornare alla radice che è Cristo. Una chiesa che è disposta a rinunciare ai piviali, ai camici, ai conopei, ai clangimen, alle talari e ai concordati pur di tornare a quella dimensione semplice del grembiule, del servizio e della quotidianità.

L'Eucarestia che noi celebriamo con giusta solennità e in cui a volte usiamo l'incenso nasce in cucina e in sala da pranzo.

La chiesa del grembiule è una chiesa che sceglie di stare dalla parte dei poveri, della quotidianità e che non giustifica il male con tanti sé e con tanti ma.

Noi cristiani che siamo qui intorno alla mensa del Signore non possiamo permetterci di giustificare politiche che lasciano morire i fratelli in mare, le politiche che tolgono il lavoro, logiche di potere e logiche economiche che distruggono l'umanità.

La chiesa che è più attaccata ai paramenti, ai broccati, alle mantelle colorate, al potere e alle altre fesserie di questo genere è una chiesa che ha dimenticato che l'unico segno sacerdotale è il grembiule cioè la stola.


Oggi coi bambini a cui faremo questo gesto simbolico della lavanda dei piedi celebreremo anche l'Eucarestia e riceveranno per la prima volta Gesù nel loro corpo e nel loro cuore. A voi bambini dico siate liberi e non fatevi fregare dalle dinamiche anche religiose dei vostri genitori, dei vostri nonni e dei vostri sacerdoti. Non fatevi prendere dal mondanismo religioso cioè da quelle forme che mettono prima la religiosità rispetto al benessere dei vostri compagni e delle vostre compagne.

Ciò che noi celebriamo all'altare deve corrispondere alla vita e la vita deve essere espressione di ciò che viviamo qui in chiesa. Il pane spezzato rappresenta l'umanità di Cristo che si fa uccidere e spezzare per noi, rappresenta la generosità di farsi divorare pur di far star bene i suoi amici. A noi cristiani è chiesto di spezzarci gli uni per gli altri e di lasciarci divorare da chi non crede o da chi è diversamente credente. Ogni nostra azione buona non sia una sterile filantropia, un volontarismo, ma servizio secondo il cuore di Cristo sullo stile del Vangelo di oggi.

O quello che viviamo oggi rappresenta una realtà concreta oppure è una tradizione vuota che si può buttare nella spazzatura. Gesù non mi sembra un buffone che si mette a giocare coi colori e coi paramenti, che si mette a giocare con la vita delle persone allora non diventiamo noi quei buffoni e non trasformiamo lui in un bugiardo.

È bello che il segno più alto legato all'eucaristia sia determinato da un segno di servizio e di accoglienza come il lavare i piedi dei propri amici.

Ora è il nostro tempo di lavarci i piedi a vicenda cioè di accoglierci vicendevolmente nella nostra umanità reciproca.

 
 
 

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