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II DOMENICA di Quaresima - Anno A

  • Immagine del redattore: Gabriele Semeraro
    Gabriele Semeraro
  • 4 mar 2023
  • Tempo di lettura: 6 min

Se domenica scorsa ci è stata presentata la necessità e la fatica della lotta spirituale, se ci è stato presentato il valore pedagogico e caritativo della penitenza, questa domenica veniamo guidati all'esperienza della luce, della chiarezza. 

Ogni cammino impegnativo richiede un allenamento faticoso e la Quaresima rappresenta proprio questa preparazione al cammino cristiano. Oggi ci viene presentata la prospettiva del viaggio e la meta di ogni credente… una meta così luminosa da essere anche accecante e quindi spesso difficile da vedere.

"Vàttene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione"

Il viaggio della vita credente è faticoso perché bisogna abbandonare le proprie certezze, la propia zona di confort, ma con la promessa di una benedizione per se stessi e per gli altri.

L'esperienza del cammino, per quanto faticosa, porta sempre con sé la promessa di una meta. Per Abramo la meta è una terra da considerare propria, una posterità dopo di lui e il fatto che in lui tutti saranno benedetti.

Nel vangelo Gesù decide di prendere con sé Pietro, Giacomo e Giovanni.

L'esperienza delle beatitudini era per tutti e di comunità mentre l'esperienza di oggi è destinata a essere personale, esperienza personale che a tempo debito dovrà essere testimoniata.

Gesù vuole far sperimentare ai tre discepoli un piccolo anticipo della meta. Sul monte vuole mostrare la gloria della resurrezione e la comunione che si vive nel regno del Padre, una comunione che attraversa il tempo e attraversa la storia.

Non voglio entrare in merito al fatto che i due Profeti accanto a Gesù rappresentino proprio la legge data da Dio e la guida profetica che Dio non ha mai fatto mancare al suo popolo, ma anche questi aspetti rientrano perfettamente in quel valore pedagogico che Gesù sta cercando di trasmettere.

La vita umana è costellata di fatica e, se vogliamo essere onesti, chi sceglie di essere discepolo e discepola si ritrova in una condizione ben più faticosa. Dobbiamo dirlo con chiarezza!

Se scegliamo di essere discepoli, se rispondiamo a questa chiamata eterna di amore, allora noi faticheremo molto più degli altri e forse soffriremo anche di più. A causa di questa fatica enorme Gesù decide di dare un anticipo per incoraggiare i discepoli.

Pietro, Giacomo e Giovanni non capiscono cosa sta accadendo: sono traumatizzati dalla bellezza, felici, impauriti e confusi..

Ciò che prevale in fondo è la sensazione di benessere e qui emerge la tentazione diabolica di una certa religiosità inborghesita… il mondanismo religioso di cui noi oggi soffriamo enormemente nella chiesa!

Si sta ancora vivendo l'esperienza e si cerca di incasellarla, renderla più comprensibile e più gestibile senza permetterle di continuare a parlare. Noi oggi in realtà siamo ben più meschini perché abbiamo ridotto il cristianesimo, quello che viviamo noi personalmente, in una sorta di perbenismo quieto, pacifista, buonista, insipido e in fondo irrilevante.

"Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia"

Non si può piegare Dio e il Vangelo a una logica di quiete, incasellandolo dentro delle capanne, dei recinti sacri, pur di essere quieti.

È la tentazione di chi nella chiesa preferisce riti in lingua latina incomprensibili, di chi preferisce madonne postine ed eventi pseudo miracolosi continui, è la tentazione di chi preferisce ridurre tutto al pregare senza impegnarsi personalmente oppure ridurre tutto al volontarismo e al volontariato fine a se stesso e disincarnato dall'esperienza di cristo.

È la tentazione tanto dei conservatori quanto dei progressisti nella e nelle chiese.

Il Padre invece ci vuole scuotere e urla "Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo".

Il Padre ha posto la sua gioia nel Figlio e se vogliamo stare in quella gioia dobbiamo guardare non alla trasfigurazione, ma alla vita ordinaria di Gesù che non è stata una vita semplice.

Il Tabor, se siamo ben attenti, ci viene concesso più volte nell'arco della vita, ma non possiamo permetterci di disincarnarci, estraniarci, dalla realtà per vivere la nostra beatitudine personale.

Vi racconto una notizia che ho letto su diversi giornali online in questi giorni e che mi sembra riguardare proprio il Vangelo di oggi.

In Kentucky, precisamente a Wilmore, si trova un'università cristiana che si chiama Asbury University.

Si tratta di un'università di stampo protestante che ha all'interno la propria cappella dove normalmente il pastore, il cappellano, va con gli studenti che desiderano pregare. Durante una di queste preghiere è entrato un ragazzo nella cappella che aveva dei problemi e i presenti hanno pregato su di lui. Ciò che è avvenuto nelle ore successive è stata l'invasione della cappella da parte di centinaia di migliaia di universitari che si sono riuniti spontaneamente per pregare, cantare, suonare e lodare Dio. Questa cosa è durata giorni e giorni e tuttora non è finita, anzi si sta espandendo ad altre università cristiane. 

Conoscendo la cultura americana si potrebbe trattare tranquillamente di un fenomeno di isteria religiosa o di esaltazione religiosa, un po' come avviene durante le nostre giornate mondiali della gioventù, i jiubil fest a Medjugorie e situazioni simili.

Facciamo finta che invece noi siamo certi che si tratta di una manifestazione forte dello Spirito Santo, una sorta di nuova Pentecoste…

Possiamo paragonare quello che stanno vivendo loro all'esperienza del Tabor, ma ho l'impressione che manchi il pezzo del tornare alla vita. Ho l'impressione che stiano cadendo nel mondanismo religioso.

Adesso c'è l'entusiasmo, la confusione della novità e l'entusiasmo dei giovani, ma manca il pezzo del come questa esperienza possa dare energia ai singoli e alla comunità credente per ripartire.

A loro manca l'esperienza del tornare alla vita ordinaria fatta di fatiche. Il punto è proprio questo: poi si torna alla vita ordinaria. Siamo pieni di gente che va a Lourdes, a Medjugorje, a Fatima e che quando torna alla vita ordinaria allora crolla.

Nel momento del crollo, che è fisiologico, ci sono due possibili strade: farsi aiutare a trasformare l'esperienza del Tabor vissuta in esperienza utile e produttiva nella propria quotidianità oppure rinchiudersi dietro manie religiose e scegliere di centrare gran parte della propria vita nel tentativo di trovare nuovamente quell'esperienza. In realtà c'è una terza via che è quella del mollare tutto perché l'esperienza della vita e l'esperienza esaltante, diciamo mistica, non riescono a toccarsi.

Quando sul Tabor il trambusto è finito e i tre discepoli hanno alzato lo sguardo, dice la Scrittura, che "Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo".

Alla fine non c'è Gesù con l'aureola e le luci psichedeliche, ma c'è solo Gesù e Gesù solo. Resta alla fine il dato umano, l'esperienza straordinaria finisce e resta solo il dato umana.

Questo aspetto è fondamentale nell'esperienza di fede. Quando i nostri giovani andranno alla GMG e saranno tutti esaltati dovranno poi scontrarsi con il rientro a casa e la routine.

Vivranno la fatica del conciliare il dato esaltante spirituale, di fede, rispetto alla loro vita piatta e monotona. Guardate che è una questione seria perché è la questione che ci viene contestata oggi da tutti. E la questione della coerenza tra un'esperienza e la propria vita, dove l'esperienza o è Cristo oppure non è nulla.

Quanti tra noi, giovani e vecchi, vivono una vita mediocre e incatenata da dipendenze, in preda alle passioni più torbide e al rancore più pesante? Quanti dei nostri ragazzi e quanti di noi ci si riempie di sostanze stupefacenti, leggere e pesanti c'è poca distinzione, ci si riempie di alcol e si vive dinamiche di violenza pur frequentando la comunità cristiana?

Quanti di noi vivono di rancori, di ripicche e di un certo chiacchiericcio malevolo qui in comunità? 

L'esperienza del Tabor l'abbiamo fatta veramente? E se l'abbiamo fatta veramente, stiamo provando a connetterla con quello che viviamo nel quotidiano che non sono sempre cose belle.

Lo dico ai giovani e lo ripeto a noi adulti: se scegliamo la vita cristiana e se scegliamo di stare nella chiesa allora soffriremo come delle bestie e saremo chiamati a una vita più esigente, più bella e gioiosa, ma più impegnativa.

Lo dico perché è importante anche darsi la possibilità di mollare, anzi è essenziale a volte mollare per un po' di tempo gli ambienti ecclesiali e il Vangelo.

Ora sapete perché a volte mi sentite dire che il battesimo non andrebbe dato ai bambini, proprio perché il battesimo introduce a una vita che va scelta consapevolmente, un cammino che è estremamente esigente anche se meraviglioso.

Oggi è tempo di scegliere, oggi è tempo di fare unione tra l'esperienza del Tabor e l'esperienza di una vita spesso deludente.

 
 
 

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