III DOMENICA DEL TEMPO DI PASQUA - ANNO C
- Gabriele Semeraro
- 30 apr 2022
- Tempo di lettura: 4 min

Il Vangelo di questa domenica è ricco di dettagli, ma soprattutto ha molto da dire sul piano personale, ecclesiale e spirituale.
Nella prima parte del testo emerge lo sconforto di Simon Pietro il quale non usciva più a pescare da molto tempo.
C'è la delusione di un apparente fallimento, c'è la tristezza della perdita dell'amico e del maestro. Sparisce da Pietro la dimensione del noi e ricompare l'io… dice Simone "io vado a pescare".
Simone torna alla vita precedente, precedente a quei tre anni, precedente alle sue speranze ora perse.
La pesca è deludente… tanto lavoro, ma niente pesci come già era accaduto in passato.
Non a caso l'evangelista propone la struttura di un testo già usato, quello della prima pesca miracolosa in cui Gesù aveva chiamato Simone a divenire pescatore di uomini e lo aveva chiamato Pietro.
Nuovamente uno sconosciuto sulla riva chiede a Simone di fidarsi e, a differenza dell'altro testo, l'apostolo non risponde negativamente, ma fa quello che gli viene detto. Non è fede, ma tristezza e rassegnazione.
La rete si riempie e il discepolo meno esperto, il più giovane, il più ingenuo intuisce qualcosa di grande… è il Signore!
C'è un tempo per Chiesa di sconforto e di povertà spirituale in cui è necessario aprirsi alla novità del giovane, dell'ingenuo, del lontano per poter uscire da certe dinamiche depressive e riconoscere il Signore presente.
Il giovane riconosce una strada nuova, ma è Pietro che per primo si getta in mare.
Nei Vangeli di Giovanni i due discepoli rappresentano proprio due aspetti della Chiesa: Pietro la chiesa istituzione e Giovanni la chiesa carismatica. I due devono rimanere insieme altrimenti muoiono, si smarriscono, cadono nell'eresia e non trovano Gesù.
Nella seconda parte del Vangelo troviamo Gesù che ha già del pesce, ma vuole quello pescato dai discepoli. Dio agisce così… Ci mette del suo, ma vuole che noi ci mettiamo del nostro.
Gesù è ancora irriconoscibile agli occhi terreni dei discepoli, ma il loro cuore sa che è lui. Ci sono esperienze nella Chiesa, nella nostra vita credente, in cui non è esplicita la presenza di Gesù, ma che noi lo sentiamo con forza.
Avviene in alcuni dialoghi, in alcuni incontri con persone non credenti o diversamente credenti.
Ci sono esperienze che all'inizio sono state osteggiate con forza dalla Chiesa istituzione perché nate all'interno di un Carisma, ma che poi sono state ben comprese perché sapevano di Vangelo, perché Gesù era lì…
Penso al movimento dei Focolari, penso ad alcune esperienze legate ad alcune realtà particolari come le comunità di Don Ciotti, le comunità di Don Gallo a Genova, a esperienze innovative che tuttora nascono nella Chiesa come il progetto Gionata per i cristiani lgbtq.
Nella terza parte del Vangelo c'è il grande dialogo che noi spesso abbiamo interpretato riferito al ruolo pastorale del successore di Pietro, ma che in realtà è un dialogo che Gesù pone a ciascun credente a prescindere dalla propria vocazione personale.
"Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro". Per ben due volte Gesù chiede a Simone se lo ama più degli altri e la sua risposta è sconcertante "certo, Signore, tu sai che ti voglio bene". Simone, come noi, fa fatica a dire il "Sì, ti amo" perché è consapevole dei propri limiti e soprattutto del proprio peccato.
Gesù capisce e si adegua alla misura del suo discepolo e gli domanda "Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?".
Il maestro non vuole mai sforzarci, ma rispetta la nostra umanità perché la conosce profondamente.
Simone capisce bene che quel domandarlo tre volte ha un significato profondo e va proprio alla radice del suo peccato personale, quel rinnegarlo tre volte.
Dalla fragilità di Simone nasce la roccia di Pietro e Gesù si ricollega al discorso dell'ultima cena quando Pietro aveva dichiarato di voler andare con lui ovunque e voler essere battezzato nel battesimo di Gesù. Qui Gesù preannuncia il martirio di Pietro, Crocifisso come lui, a Roma.
E tempo per Simone di seguire il maestro e diventare veramente Pietro per la chiesa, guida dei fratelli e delle sorelle, nuovo Cristo in Terra.
A ciascuno di noi Gesù pone la domanda "mi vuoi bene?"
Se vogliamo bene a Gesù allora non possiamo essere teorici e dobbiamo "pascere le sue pecorelle" cioè prenderci cura gli uni degli altri.
Non è facile… spesso ci sono tensioni tra di noi, invidie, litigate, incomprensioni, comportamenti disonesti, infedeltà,ecc…
Non è facile pascere le pecorelle di Gesù, non è facile non soccombere al nostro orgoglio, ma dove ha portato l'orgoglio di Simone?
Allo stesso tempo prendersi cura degli altri, avere Misericordia gli uni per gli altri, vuol dire anche non farsi andar bene qualunque cosa.
Dobbiamo essere in grado di lottare per le nostre idee, anche al punto di scontrarci gli uni con gli altri, ma senza mancare mai di umanità e Misericordia, senza mai lasciarci sopraffare da sentimenti di risentimento.
Gesù ti chiede di seguirlo in un cammino, non facile, che potrebbe prevedere la crocifissione. Questo è vero per tutti i credenti…
Essere cristiani non ci rende la vita più facile, ma più difficile!
Dobbiamo averlo chiaro se vogliamo veramente essere discepoli e discepole di Gesù.
“Mi vuoi bene?” È la domanda fondamentale che è posta a ciascuno di noi oggi e dal cui esito dipende tutta la nostra vita.
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