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IV DOMENICA DEL TEMPO DI QUARESIMA - domenica Laetare - ANNO C

  • Immagine del redattore: Gabriele Semeraro
    Gabriele Semeraro
  • 26 mar 2022
  • Tempo di lettura: 5 min



La Parola di Dio di oggi è un canto alla libertà dell'uomo e alla misericordia di Dio.

L'uomo è libero di fare le sue scelte, ma deve essere pronto a pagarne le conseguenze in bene e in male.

Il figlio che se ne va fa una cosa legittima e illegittima allo stesso tempo di cui dovrà portare il peso sia immediato che a lungo termine.

Chiede di entrare in possesso dell'eredità che gli spetta prima che il padre sia morto. È come se il figlio stesse dicendo che per lui il padre già non esiste più, è già morto.

Il padre rispetta la libertà del figlio e gli concede quanto richiesto senza indagare sull'uso che ne farà di quei beni.

L'uomo parte e sperpera tutto senza pensare al proprio futuro. Non è semplicemente un figlio ingrato, ma anche una persona che non ha prospettive nella propria vita e quindi spreca tutto.

Non è la nostalgia che lo riporta a casa e neppure l'amore per il padre, ma la fame. Il ricordo della vita agiata e del cibo lo portano a fare una scelta utilitaristica.

Ciò che risulta assurdo e spropositato nella parabola è proprio l'atteggiamento del padre. Non è adirato, non rinfaccia nulla, ma anzi è pronto ad accogliere e perdonare… di più, organizza una festa!

Paradossalmente è proprio questo atteggiamento che può generare un reale cambiamento affettivo ed effettivo nel figlio il quale comunque pagherà le conseguenze di quella decisione perché la sua parte di eredità non esiste più. Alla morte del padre non potrà ricevere più nulla, ma nasce per lui un tempo di libertà… torna e resta per la relazione con il padre e da lì può costruire il proprio futuro.

L'altro figlio non è migliore, ma è esattamente nella stessa situazione di egoismo e di chiusura del fratello.

Non resta a casa per amore del padre, ma per senso del dovere e abitudine. Anche questo figlio non è libero ed è vincolato a una dinamica di dovere e di potere.

Non capisce come il padre possa ri-accogliere quel figlio sconsiderato e non si rende conto di essere altrettanto sconsiderato e duro di cuore.

La libertà del padre nell'accogliere e andare incontro a questi due figli è sconvolgente, ma è anche sconvolgente il rispetto che ha delle due libertà.

Il Vangelo non ci dice se questo secondo figlio entrerà al banchetto, perché quel secondo figlio siamo noi.

Tutto il Vangelo ruota su questi due figli e sulla libertà del padre, sulla sua misericordia.

I due figli rappresentano chi se n'è andato dalla Chiesa e chi è restato, ma entrambi sono in una situazione di peccato e di male.

Non posso fare a meno di notare come il secondo figlio assomigli tanto a noi che siamo qui in chiesa oggi.

Mi tornano alla mente tante situazioni vissute in questi anni nelle nostre comunità e come, apparentemente, spesso siamo qui per opportunismo, per tradizioni vuote, per senso di colpa o peggio del dovere religioso.

Ho presente le discussioni, le lotte e le tensioni dovute a questioni spesso marginali che con una vita di comunità credente reale c'entrano poco e ancor meno in una vita come amici di Gesù.

Siamo noi quel figlio che è rimasto in casa per opportunismo, ma che ha il cuore duro esattamente come coloro che se ne sono andati… se non peggio.

Il problema è che spesso siamo più resistenti noi al cambiamento e alla conversione rispetto a coloro che sono lontani dalla Chiesa. Abbiamo la presunzione di fondo di essere buoni, di essere dei "buoni cristiani" perché facciamo quello che formalmente ci viene chiesto dalla struttura ecclesiastica, ma siamo incapaci di un reale cambiamento e siamo incapaci di lasciarci toccare autenticamente dal Vangelo.

Anche oggi i cambiamenti più importanti spesso avvengono da coloro che sono lontani o che sono stati lontani dalla Chiesa e questo dovrebbe interrogarci.

Noi non siamo chiamati a essere dei "buoni cristiani", dei "buoni laici" o dei "buoni preti"… Questa è un'aberrazione teologica che ci portiamo dietro da secoli.

Gesù ci chiama amici e nella parabola ci presenta una dinamica di famiglia.

Non dobbiamo essere dei “buoni amici” e neppure dei “buoni figli”, ma amici e figli anche attraverso i nostri limiti e le nostre fragilità.

Tutto il resto sono storie che rischiano di diventare giustificazioni al nostro immobilismo.

Cosa direbbe la nostra morale cattolica rispetto a questi due figli?

Cosa direbbe la giustizia umana?

La logica di Gesù è un'altra e manda all'aria tutto quanto!

Spesso ci lamentiamo delle cose che ci accadono e diamo la colpa a Dio mentre invece sono la conseguenza, dirette o indirette, delle nostre azioni oppure delle azioni degli altri.

La logica di Dio non è quella di intromettersi nelle dinamiche umane come vorremmo noi, ma è quella del rispetto della realtà (buona o cattiva), delle conseguenze (buone o cattice).

Lui aspetta e accoglie, dimentica e sana, sollecita e invita ad entrare... sempre e tutti!

Tutto questo ci viene detto perché occorre imparare a vivere la Misericordia di Dio senza diventare intolleranti, ma anche vivere questa Misericordia senza diventare uomini e donne che non annunciano la verità.

Se noi viviamo una relazione di amicizia con Gesù, se lo amiamo realmente, se ci lasciamo riconciliare da lui, ecco che allora sapremo accostarci ai nostri fratelli e sorelle, sapremo vivere ogni situazione secondo lo stile di Dio, sapremo perdonarci vicendevolmente.

La cosa più sconvolgente della Parola di Dio di oggi è proprio che scardina ogni nostro concetto di giustizia umana e di meritocrazia.

Ci viene insegnato che c'è uno sguardo liberante di Dio che non ci vincola all'azione buona o cattiva che abbiamo compiuto, ma che c'è il suo sguardo vede di più in noi.

È questo correrci incontro, abbracciarci, baciarci, è questo metterci l'anello al dito e i sandali puliti che rende possibile la nostra conversione.

In fondo, se fossimo veramente immagine già di Gesù ora, saremmo in grado di fare la stessa cosa con tutti i fratelli e tutte le sorelle…

"L'amore si esprime in primo luogo nello stare con qualcuno piuttosto che nel fare qualcosa per qualcuno".

Questa frase di Madre Teresa di Calcutta, che non è certo una persona che si può accusare di quietismo, ci dice molto sullo stile che noi dobbiamo apprendere da questo Vangelo.

Com'è vero! Più che amare per fare, amare per stare.

Solo se saremo capaci di stare con le persone, nelle situazioni, a prescindere da tutto… solo se sapremo stare, sapremo comprendere autenticamente come si ama e come si perdona.


Papa Francesco ha definito questa parabola come la parabola del "giovane furbo".

Preghiamo allora così:

Signore Gesù, aiutami a non essere come il "giovane furbo".

Il giovane furbo sono io quando voglio scrivere da solo la mia vita,

prendendo a calci le regole della disciplina paterna;

sono io quando voglio passarmela bene

fino a quando non arrivo a sentire la fame;

sono io quando credo di essere indipendente e brillante

e smetto di pregarti.

Ma tu sei molto buono e approfitti dei nostri fallimenti

per parlarci al cuore.

Non hai mai detto a questo giovane:

"sei un fallito, guarda cosa cos'hai combinato!",

ma l'hai accolto in un abbraccio di gioia.

Signore, ogni volta che mi perdoni io scopro

che mi stavi aspettando da anni

e, come il giovane furbo,

sperimento qualcosa di veramente nuovo e vero:

l'abbraccio della tua Misericordia.

Aiutami a capire che anch'io posso abbandonarmi

al tuo venirmi incontro,

fuori da ogni logica umana,

al tuo amore immenso,

al tuo perdono.

Non permettere che io cerchi ancora di scrivere da solo la mia vita, lontano da te.

Aiutami a essere simile al padre della parabola

che resta, aspetta,

attende, accoglie,

perdona e fa festa per i figli.

Amen

 
 
 

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