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Meditazione con i seminaristi

  • Immagine del redattore: Gabriele Semeraro
    Gabriele Semeraro
  • 22 feb 2022
  • Tempo di lettura: 4 min

Condivido la meditazione sul Vangelo di domenica 20 febbraio (Lc 6, 27-38) che ho tenuto ai seminaristi della mia diocesi.


Riflessione seminaristi


In queste domeniche abbiamo avuto Vangeli che conducono al cuore della vita credente e che proprio per questo comportano notevole fatica di vita e di azioni.

La prima cosa che mi colpisce è che la parola di Gesù di oggi non è rivolta a tutti infatti il Vangelo dice "a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male" (vv. 27-28).

La parola di oggi è rivolta a chi vuole ascoltare e a chi vuole restare in relazione con Gesù nel suo stile. Il comando di Gesù non è rivolto a tutti, ma ai suoi amici, a chi vuole ascoltare.

Gesù sa che la richiesta che ci ha fatto e ben al di là delle nostre possibilità…

In seminario molte discussioni nascevano con il rettore di Chiavari proprio perché io sottolineavo molto la generale incapacità di amare e contestavo particolarmente l'interpretazione rigida che veniva data in seminario dell'amore cristiano… un modo molto formale e strutturale.

Ci può anche essere un grande desiderio che abita in noi rispetto all'amare, ma siamo profondamente incapaci di amare in quel modo... non possiamo essere superficiali.

Gesù non è superficiale ed è proprio lui che rende possibile in noi lo sviluppo di questa capacità nuova: vivere l'amore che vivono lui e il Padre.

Spesso agli SCOUT dico che l'amore non è un sentimento, non è un'emozione, ma è l'atto razionale più alto che un cristiano possa vivere perché prova a scegliere l'altro semplicemente perché è l'altro. Questa scelta non è facile e l'unica strada possibile per fare questa scelta è la Misericordia.

Questa Misericordia prevede la capacità di perdonare. Perdonare che, per noi mortali, non è dimenticare! Perdonare, nella logica del Vangelo, mi sembra sia uno sguardo sull'altro che gli da la possibilità di ricominciare, uno sguardo che non dimentica il passato, ma si apre a una nuova possibilità.

Amare non può essere un atto ingenuo e superficiale... per quanto le parole di Gesù siano radicali, resta il fatto che il mio amore non è uguale al suo.

Amare l'altro perché è l'altro non significa che si debba optare per la propria autodistruzione, per amarlo devo essere vivo ed eventualmente essere in grado di poter scegliere di dargli la mia vita... ma sulla modalità del dare la vita non esistono manuali o regolette.

A volte si soffre anni per amare qualcuno, a volte gli si dà la vita in tanti modi, ma altre volte amare l'altro significa anche prenderne le distanze per evitare alla fatica, al conflitto e alle incomprensioni di distruggere entrambi.

Il Signore mi sembra che ci voglia aiutare a crescere nella "cultura della misericordia" che, pur dandoci indicazioni molto precise, non nega la dimensione soggettiva che può avere forme e modalità estremamente creative.

La rivoluzione dell'amore cominciata con Gesù sulla croce e proseguita attraverso i martiri, sì è poi sviluppata in molti modi attraverso la creatività e la libertà dei singoli.

Il perdono resta un passaggio decisivo: perdonare se stessi e perdonare gli altri cioè avere uno sguardo di fiducia su se stessi e sugli altri simile a quello di Gesù.

Questo sguardo è bello, spesso è un dono, ma richiede anche un certo lavorio su se stessi.

Personalmente fatico a perdonare, il vescovo lo sa, soprattutto quando si tratta di qualcosa che ferisce profondamente la mia persona e la mia identità, quando non si rispetta la mia dignità adulta e di presbitero, quando si violenta la mia libertà e si sprecano le mie risorse, quando si fa ingiustizia e violenza sugli altri, quando nella chiesa si è fuori dalla legalità.

Spesso il mio sforzo, che non è perfetto, punta a cercare di vivere ogni azione con generosità e fiducia nonostante nel profondo non riesca subito a perdonare.

Non è una finzione, ma un farsi violenza sullo stile del Vangelo: "il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono" (Mt 11,12).

Questo stile mi permette di non entrare nella dinamica dei "collezionisti di ingiustizie" cioè di coloro che si ricordano soltanto le cose brutte che hanno fatto oppure che gli sono state fatte… di coloro che, e ho una persona in mente, credono che le cose gli vanno storte solo ed esclusivamente per colpa dei fedeli, dei confratelli, del vescovo, ecc… e non si rendono conto che un pezzo importante del problema è in loro.

A volte alcune esperienze e alcune sofferenze ci insegnano come non diventare per rimanere sul solco dello stile di Gesù: che uomo non diventare, che tipo di cristiano voglio o non voglio essere, che stile presbiterale non vivere o vivere e come posso amare in una situazione non facile… cioè la situazione in cui si ha davanti persone affamate d'amore, incapaci d'amare, che non si lasciano amare e che il Signore mi chiede di amare come le ama lui.

"Date e vi sarà dato".

Il dare e il darsi sono presupposti necessari perché possiamo ricevere e concretizzare la promessa di Gesù.

Sento una certa fatica e gioia, e concludo, perché non credo possa esistere una formula universale per vivere questa legge dell'amore e questo donarsi... e questo è bello, e questo è faticoso perché richiede di scoprire la propria modalità per rispondere al comando di Gesù pur rimanendo in quei parametri dati da lui e dalla Chiesa.

La Parola di oggi mi punge e mi brucia. È una Parola che ci può trasformare e renderci capaci di fare del bene senza contraccambio e senza egoismo, senza entrare nella dinamica territoriale tipica delle nostre vicarie, delle parrocchie e dei rapporti tra presbiteri… per vivere ed essere testimoni di un amore possibile, faticoso, ma possibile. Un amore disposto anche a prendere le distanze dall'altro pur di conservare l'Unità con lui.


 
 
 

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