Nel 4° anniversario dall'ordinazione sacerdotale
- Gabriele Semeraro
- 15 dic 2023
- Tempo di lettura: 6 min

Oggi 15 dicembre 2023 sono quattro anni che sono stato ordinato presbitero.
Onestamente tra covid e altre situazioni complicate, mi sembra sia passata un'eternità. Non so se questo è da ritenersi positivo oppure no, solitamente si dice che “quando ci si diverte o quando le cose vanno bene il tempo sembra volare”. Questo banale modo di dire pertanto mi lascia disorientato visto che la percezione del tempo sembra essere notevolmente rallentata negli ultimi anni.
Ci sono ancora molte cose che devo capire, ma sicuramente in questi quattro anni ha preso forma un'idea un po' più precisa del tipo di sacerdote che voglio essere e che tipo di servizio posso fare.
Ammetto una certa delusione su più fronti e ammetto anche una certa sorpresa su molti aspetti della vita ecclesiale.
Per quanto sia evidente che, almeno nella nostra diocesi, sembriamo essere agli ultimi rantoli di una chiesa che è stata significativa, una chiesa che ha oscillato tra progressismo e tradizionalismo, ma che ora non ha più ragion d'essere… è però altrettanto evidente che ci sono molte energie in campo che potrebbero dar vita a una chiesa adeguata e puntata sul Cristo oggi!
Non avendo chiara la situazione geopolitica della chiesa nel mondo di oggi non posso ovviamente sbilanciarmi su affermazioni temerarie oppure su giudizi rispetto a molteplice scelte nel mondo. Le tentazioni verso cui si verrebbe attirati oggi sono o di natura tradizionalista oppure progressista, la tentazione di fare tanti progetti o quella di mollarci e fuggire.
Posso accennare ad alcune mie impressioni rispetto a questo breve cammino per ora svolto…
Vedo uomini in chiesa, inteso dal punto di vista gerarchico, oscillare tra un tradizionalismo violento e una burocratizzazione della chiesa rinnovata, vedo oscillare tra un tradizionalismo liturgico e banalismo qualunquista, vedo oscillare tra posizioni eccessivamente clericali e disumane oppure un forte desiderio di vivere Gesù oggi anche a costo di mettere in discussione lo status quo.
Vedo anche un linguaggio che prova a sdoganarsi, ma non riuscendoci. Vedo l'opposto di quello che ho appena detto.
Sì, vedo una chiesa bipolare e non solo la grande Chiesa, ma la nostra chiesa locale.
Alcune grandi intuizioni di questo tempo sono state riportate a una struttura clericale vecchia e si è fatto scelte di forza e di ripiego. Una delle grandi intuizioni del nostro tempo sono il rinnovato slancio dei Ministeri laicali che però sembra aver attratto persone che poco hanno lavorato su se stesse, poco si sono lasciati contaminare dall'umanità delle persone di oggi e da ciò che il Vangelo potrebbe generare oggi. Non voglio criticare persone buone, ma dico solo che c'è stato un problema.
Abbiamo proposto i ministeri laicali perché la Chiesa tornasse a una dimensione più umana, ma ci siamo ritrovati con laici spesso più clericali dei preti.
Non è colpa loro, ma nostra. Abbiamo avuto fretta e non ci siamo presi il tempo di verificare, abbiamo improvvisamente “abolito”, solo per i ministeri laicali, il concetto di “lungo discernimento”. Prepariamo preti per anni al sacerdozio, ma per un compito delicato come quello dei Ministeri abbiamo fatto una scelta nettamente inferiore.
Del mio essere anticlericale in modo sano, del mio motto ”per essere un buon sacerdote devo essere autenticamente laico“ e del mio desiderio di inculturazione della fede… ritrovo poco nella chiesa di oggi.
Sono tutte cose su cui ho fatto un punto d'onore e di autentico discepolato, ma mi rendo conto che stanno avendo un notevole corto circuito.
Certamente aggiusterò il tiro.
Tornando però alla questione di ciò che vedo nella mia chiesa, almeno dal mio punto di vista molto limitato, posso dire che forse c'è un pezzo importante che ci stiamo perdendo.
Per citare un mio confratello bergamasco, stiamo perdendo il fatto che come chiesa non siamo stati intellettualmente onesti… stiamo cambiando perché capiamo profondamente il valore del cambiamento oppure stiamo mettendo in atto delle dinamiche di sopravvivenza che però sono finalizzate a mantenere una struttura? Stiamo lasciando parlare veramente lo Spirito oppure stiamo solo tentando di salvare la nostra poltrona?
Siamo tutti pronti a cambiare: il linguaggio, alcune forme esteriori e a lasciare spazio apparentemente ai laici a patto però di non cambiare realmente.
Fingiamo, ci illudiamo, di ascoltare lo Spirito e di ascoltarci tra noi, ma a patto che non ci venga chiesto un reale cambiamento di paradigma.
I cambiamenti reali richiedono tempo e tanto sforzo, ma noi non riusciamo. Non è una questione di cattiva fede, semplicemente non siamo più abituati.
E uso il plurale perché in questo “non siamo abituati” ci sono prima di tutto io.
Un altro dei miei motti dei tempi del seminario era ”ciò che non mi appartiene non esiste”.
Pur trovandomi oggi lontano da quel motto e da come lo intendevo, resta in parte vero. Se noi non interiorizziamo e non facciamo nostre le cose… esse non ci appartengono. Se non mettiamo le mani in pasta, se non le pratichiamo, se non ci affaccendiamo nelle cose esse non possono toccarci.
Ecco che qui entra in gioco il motto di Don Milani "m’importa”.
È il motto di Cristo, il motto dell'intera Trinità.
Anche su questo motto però noi abbiamo deciso di ridurlo alla salvaguardia delle strutture che siano fisiche, gerarchiche o nel modo di pensarsi chiesa.
Mi preoccupa il vedere che la grande polarizzazione di cui vive la chiesa gerarchica abbia radici profondissime nella chiesa reale, quotidiano e locale.
Ogni zona d'Italia, ho potuto constatare, vive dinamiche profondamente diverse.
È difficilissimo essere prete oggi!
È difficile all'esterno, è difficile all'interno della Chiesa stessa!
Eppure il Vangelo non ha smesso di parlare, eppure ci sono tanti che come me provano a lasciarsi contaminare sia dal Vangelo quanto dal mondo.
Ci sono ideali tipicamente evangelici che il mondo accoglie volentieri e altri che sono propri del mondo, ma che hanno un profondissimo sapore di Dio.
Ecco, io sono affascinato da questo aspetto e mi sento chiamato “all'ordinarietà della fede”. Saper cogliere quei semi di Vangelo che sono sparsi nella cultura di oggi così apparentemente lontana da strutture e da dinamiche religiose.
Negli ultimi anni sono stato introdotto nella scuola ed è stata sorprendente.
Il mondo ha bisogno di fedeli e sacerdoti NORMALI!
Radicati in un atteggiamento autenticamente umano, evangelico e di amore pratico.
Non bigottoni che con la scusa della “morale religiosa” o con la scusa “sull'antico testamento c'è scritto…” si permettono di violentare l'altrui umanità, ma persone autenticamente accoglienti e amorevoli.
Garantisco che quell'atteggiamento del cuore e della vita non ci rende “più lassisti”, ma più sullo stile di Gesù.
La grande questione cristiana di oggi è proprio su questo atteggiamento del cuore, sullo sguardo con cui guardiamo al mondo e alle persone.
Per raggiungere Alcune categorie di lontani, quelli ordinari, non serve chissà quale ricetta pastorale, ma semplicemente vivere alcuni aspetti della vita con loro dando un messaggio di speranza.
Qualche giorno fa alla scuola del clero ci si domandava Dove sono i giovani e la risposta è stata ”a scuola”.
Certamente a scuola li trovi, ma li trovi anche agli eventi Comics, nei campi sportivi, nelle discoteche, nei vicoli delle nostre strade dove si passano l'erba, ecc…
Certamente io non posso praticare tutti questi luoghi, Ma quelli che si avvicinano di più alla mia personalità posso praticarli.
Con la scusa del linguaggio religioso, dell'ortodossia della fede e della morale abbiamo smesso di essere persone normali. Questo prima di tutto i laici!
La schizofrenia del laicato cattolico, almeno nella nostra diocesi, è sconvolgente! Si passa con estrema facilità da dinamiche atee a maniaci della religione… in entrambi i casi non si è certamente cattolici e a volte neppure cristiane.
Non so il cammino che mi attende, ma l'esperienza fatta nei paesini negli ultimi anni mi dice che è il luogo peggiore della schizofrenia. Comunque in generale Essa si manifesta a macchie ed esasperata in ogni comunità ecclesiale che sia di città o che sia nei nostri paesini.
Per parafrasare don Tonino Bello soffriamo di un forte liturgismo con maniere religiose e dimentichiamo le persone che ci siedono accanto.
Ai Ministeri laicali istituiti credo poco per lo meno per come stanno emergendo sul nostro territorio perché essi invece di aiutare a progredire la nostra chiesa locale rischiano di sclerotizzare ulteriormente un problema di dinamica di potere religioso disumanizzato e disumanizzante.
Non è vero che la chiesa non è più appetibile per il mondo, ma in realtà attraverso alcune scelte e visioni.
Se è vero che come uomini di chiesa e come sacerdoti non possiamo rinunciare alla nostra storia per passare automaticamente a tutto ciò che è nuovo, è pur vero che è giunto il momento di un cambio di paradigma… o cambieremo perché vogliamo farlo oppure cambieremo per forza.
Io sono qui… in un punto imprecisato del cammino pronto a seguire il Maestro quando si manifesterà.
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