Quarta domenica del tempo ordinario - Anno B
- Gabriele Semeraro
- 27 gen 2024
- Tempo di lettura: 4 min

Il Vangelo di oggi ci presenta una giornata tipica di Gesù a Cafarnao, città che si trova a nord del mare di Galilea e che era abitata da popolazioni di varia provenienza.
La predicazione e le guarigioni dei malati era una parte essenziale e tipica della giornata del Maestro.
Di sabato però gli ebrei vanno in sinagoga per il culto così anche Gesù vi si reca. L'evangelista ci dice che Gesù insegnava e questo vuol dire che viene invitato in sinagoga a questo scopo, se è vero infatti che tutti potevano leggere in sinagoga, e anche vero che non tutti potevano spiegare la Parola di Dio.
Dice l'evangelista che Gesù insegna come uno che ha “exousìa” cioè autorevolezza. Questa autorevolezza è accompagnata da un miracolo altrettanto autorevole.
L'evangelista Marco, differentemente da Luca, non ci dice quale sia il contenuto della predica di Gesù.
Quello che possiamo evidenziare è che la sua parola annuncia qualcosa di nuovo, qualcosa che eleva e qualcosa che ferisce.
Come ha evidenziato Paolo, di cui non dobbiamo fraintendere le parole, c'è qualcosa che divide la nostra vita. Attenzione a non fraintendere Paolo perché non sta dicendo che la vita matrimoniale sia peggiore di quella consacrata o viceversa, ma sta dicendo che qualcuno potrebbe sentirsi diviso in sé stesso.
Quante volte sento dire da certi cristiani benpensanti, anche e soprattutto nelle confessioni, che “non pregano abbastanza” oppure che “non sono andati a messa tutti i giorni” o ancora che “non hanno fatto adeguatamente le preghiere”.
Non che non siano cose importanti, ma mai che qualcuno confessi di aver mancato di carità, di non essere stato gentile, di non essere stato accogliente, di essere stato misogeno, violento e omofobo
C'è una schizofrenia che ci abita, c'è qualcosa che ci divide.
Dentro di noi c'è uno scontro diabolico che vuole farci credere qualcosa di falso. Gesù va a toccare esattamente quella polarizzazione, quella dicotomia interiore e vuole riconciliare l'uomo, dargli unità.
L'unità è data da Gesù che predica e a questa predicazione seguono le opere.
Troppo spesso alle nostre parole seguono altre parole, ma zero fatti.
Troppo spesso le nostre parole non sono in sintonia né col Vangelo né con la Chiesa.
Voglio fare un esempio che tocchi la nostra realtà, la nostra carne e la nostra chiesa… pensiamo un po' a chi guida la nostra chiesa oggi. Se è vero che non siamo obbligati a condividere il 100% di ciò che arriva da papa Francesco, dalla Santa Sede e dai nostri pastori, è anche vero che negare il fatto che il Signore ha messo queste persone nella chiesa di oggi… ci porta a essere fuori dalla logica di Cristo e del Vangelo.
Per dirla un po' con uno slogan pungente… Puoi non pensarla come il Papa e come la chiesa di oggi, ma se sei contro il papa e questa chiesa non sei cattolico e non sei nella logica del Vangelo.
Fare unità in noi stessi significa anche questo, mettere in discussione le nostre certezze personali per lasciarci guidare da qualcun altro. È Gesù il nostro maestro e ha operato in parole, ma soprattutto in opere. È Gesù che attraverso la nostra realtà ci guida, che attraverso la nostra chiesa ci guida, che attraverso le vicende della nostra quotidianità ci guida.
Guardate che l'orizzonte ultimo della fede cristiana non è arrivare a pensare e a vivere tutti nello stesso modo, ma come singoli e come comunità arrivare a fare unità tra noi e in noi.
L'orizzonte ultimo è che Dio, in Gesù Cristo, è un amico e un maestro che ci indica la strada e che si prende cura di noi. L'orizzonte ultimo è che Dio ci ha insegnato come vivere la concretezza di una fede che non si riduce alla liturgia, non si riduce alla preghierina, non si riduce allo spiritualismo e non si riduce alle buone intenzioni, ma si concretizza in azioni precise, quotidiane e puntuali.
Quando, come preti secolari e come laici, assumiamo forme troppo monacali e troppo disincarnate… quando non sappiamo vivere la quotidianità del nostro paese e preferiamo rifugiarci in forme spiritualeggianti… quando dimentichiamo come battezzati che la fede cristiana non ha come scopo la salvezza di pochi, ma di tutti… noi non siamo persone, testimoni, che possono avere autorevolezza agli occhi del mondo.
Su questo voglio fare un monito a tutti noi qui presenti perché la prima lettura è chiara: “Se qualcuno non ascolterà le parole che egli dirà in mio nome, io gliene domanderò conto. Ma il profeta che avrà la presunzione di dire in mio nome una cosa che io non gli ho comandato di dire, o che parlerà in nome di altri dèi, quel profeta dovrà morire”.
Noi dovremo dare conto del nostro credere e per dare conto del nostro credere verrà verificato il nostro modo di vivere, di interagire, di amare, e solo per ultimo, il nostro modo di pensare e di parlare.
La nostra autorevolezza potrebbe permettere ad altri di avvicinarsi a Dio e anche di questo ci verrà chiesto conto…
Attenzione, non ci verrà chiesto conto della morale e della fedeltà alle norme, ma se avremo annunciato attraverso la vita vissuta la nostra amicizia personale e comunitaria con Dio. Ci verrà chiesto conto se siamo stati capaci di spenderci nell'amore fino all'ultimo respiro.
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