Seconda domenica del tempo ordinario - Anno B
- Gabriele Semeraro
- 13 gen 2024
- Tempo di lettura: 5 min

Le letture di oggi possono essere guardate sotto molti punti di vista, ma io vi propongo le seguenti:
Il nome: come qualcosa che ci definisce e che definisce la nostra appartenenza iniziale;
La casa la famiglia: come luogo di esperienze e di guida;
Il nome nuovo: inteso come nuova prospettiva di vita scoperta e scelta consapevolmente.
Bisognerà poi fare una parentesi sulla seconda lettura per chiarire magari il linguaggio, ma per il momento cerchiamo di fare una panoramica.
Il tema del nome nella prima lettura e nel Vangelo sembra un tema predominante. Dio chiama per nome e questo nome è pronunciato in modo intimo, affettuoso e calmo.
Tutti noi abbiamo un nome che è stato scelto da qualcuno che nel cuore viveva questa dimensione di attesa e di affetto nei nostri confronti in un tempo in cui ancora non eravamo nati.
Chiamare qualcuno per nome significa essere in una certa intimità con lui oppure significa essere parte di quel nucleo familiare. A scuola e al lavoro difficilmente ci si chiama per nome.
Fateci caso… solitamente, salvo rare eccezioni, anche i ministri della chiesa vengono chiamati per cognome.
Dio ci chiama per nome, ma questa chiamata ha bisogno di essere guidata perché non è d'interpretazione automatica.
Samuele ha bisogno del sacerdote Eli per comprendere che Dio lo sta chiamando. I primi discepoli di Gesù hanno bisogno di Giovanni Battista per riconoscere il messia. In questo senso capiamo bene come la guida della famiglia, della parrocchia e delle varie realtà educative diventi un presupposto, non dico essenziale, ma quantomeno importante.
Mi piacerebbe anche far notare come, in qualche modo, sia il sacerdote Eli sia Giovanni Battista, fanno outing rispetto al Signore: senza prudenza e senza scrupolo espongono l'identità di colui che chiama.
A questo punto si sviluppa la necessità di un proprio cammino: Samuele guidato da Eli trova la modalità corretta per interagire col Signore in maniera però autonoma, gli apostoli lasciano la casa sicura rappresentata da Giovanni Battista per fare esperienza diretta e autonoma di Gesù.
L'esperienza cambia tutto…
L'esperienza autonoma porta a un cambio di identità e avviene una sorta di coming-out, di auto-uscita da se stessi, che definisce un nome nuovo e un'identità nuova.
Simone diventa Pietro.
Anche in Apocalisse compare il tema del nome nuovo messo in quella pietra che Dio mette nelle nostre mani, con quel nome nuovo inciso su di essa, che conosce solo il Signore.
In alcune lettere Paolo dice che sappiamo cosa siamo ora, ma che non sappiamo cosa saremo dopo.
L'identità non è qualcosa di stabile nel tempo, ma proprio grazie al cammino cristiano può evolvere fino a generare non solo un nuovo nome, ma addirittura una nuova identità.
Nell'ottica battesimale è importante dirci questa cosa… il nome che viene dato dai genitori e presentato alla comunità, rappresentando la possibilità di un cammino ecclesiale mediato dalla famiglia e dalla comunità stessa, ma questo cammino porterà il battezzando a scoprire la propria identità e a scoprire un altro nome nuovo.
Un piccolo accenno alla lettera di Paolo dobbiamo farlo perché in realtà sta dicendo la stessa cosa, ma non dobbiamo manipolare il linguaggio paolino per fargli dire cose che non dice.
Paolo non ce l'ha con la sessualità perché ha ben presente che l'essere umano è una creatura profondamente sessuale e sessuata.
Come mi ha insegnato il mio maestro di scrittura, Don Claudio Doglio, la comunità di Corinto è una comunità complicata.
Corinto è una città di frontiera, pagana, predisposta a ricevere moltissime dottrine religiose e rappresenta quella sfaccettatura della società romana in profonda decadenza morale.
La comunità di Paolo a Corinto vive due grossi problemi:
Ci sono alcune famiglie della comunità dove si fa delle cose che neanche tra i pagani si fanno e cioè si vive l’incesto;
Nella comunità ci si fa causa nei Tribunali civili per qualsiasi cosa, anche tra consanguinei, anche tra cristiani.
Pertanto Paolo non sta facendo una critica alla sessualità, non sta facendo l'apologia del matrimonio, non ce l'ha con chi vive una sessualità complicata, ecc… sta condannando il fatto che all'interno della comunità si ammetta una pratica così abominevole come il matrimonio tra consanguinei e sta condannando il fatto che ci si faccia guerra per qualsiasi cosa.
Facendo questo discorso però mette le basi per quella che noi definiamo “teologia del corpo”.
Noi viviamo oggi in un'era che è molto simile, da questo punto di vista, al periodo storico in cui vive Paolo. All'epoca di Paolo la maggioranza delle dottrine disprezzava il corpo e lo percepiva come qualcosa estraneo da cui doversi emancipare al momento della morte. Il corpo viene visto come un oggetto di cui usare e abusare, ma assolutamente da disprezzare.
Paolo invece ha chiaro che il corpo è espressione della nostra identità, è strumento della nostra identità e in fondo è una parte fondamentale di quello che siamo.
Il corpo è tempio dello Spirito Santo perché Dio si è unito alla nostra identità, attraverso l'incarnazione, e ha fatto sua quella casa. Pertanto il corpo è qualcosa che non va maltrattato.
Vorrei far notare che noi crediamo, come cristiani, alla resurrezione del corpo e cioè che riavremo il nostro corpo fisico alla fine dei tempi.
Nell'ottica paolina non c'è spirito senza corpo e non c'è corpo senza spirito per noi esseri umani.
Che Dio ci conceda di esistere temporaneamente senza corpo nel momento della morte, è una concessione temporanea finché non riavremo il nostro corpo.
Come sarà, come avverrà e cosa voglia dire questo… non lo sappiamo! Sarà un'identità nuova che noi scopriremo.
Allora il nostro corpo, che è un pezzo importante della nostra identità, va curato e non svenduto. Il nostro corpo allora può mutare man mano che sviluppiamo e comprendiamo la nostra identità.
Vado alla conclusione…
Abbiamo visto che le letture, con la scusa del nome e del corpo, stanno parlando di qualcosa di fondamentale: l'identità, il fare famiglia, la missione e la scoperta dell'identità nuova.
Il nostro compito come cristiani e come comunità è quello di rendere più facile e migliore questo percorso di scoperta e di autoscoperta che tutti devono fare. Dobbiamo essere guida e non ostacolo; dobbiamo essere persone che aiutano il coming-out degli altri, cioè aiutano gli altri a scoprire se stessi e a scegliere di manifestarsi, e non persone che manipolano gli altri; dobbiamo essere persone che promuovono la libertà individuale e collettiva, non persone che incasellano gli altri nelle proprie categorie mentali e nelle proprie aspettative.
Questo discorso è valido nella totalità dell'essere umano: identità personale, affettiva, espressiva, lavorativa-vocazionale, ecc…
Gesù non forza mai la mano, ma chiede di fare esperienza… permettiamo a noi stessi e a tutti quelli che ci circondano, figli e figlie compresi, di fare esperienza.
Se abbiamo la grazia di sapere cosa siamo e chi siamo oggi, chiediamo la grazia di scoprire cosa saremo domani e quale sarà la nostra nuova missione nella chiesa e nel mondo intero.
Ci attende un nome nuovo, una nuova identità e una nuova missione…
Domandati: quale sarà?
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