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V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C

  • Immagine del redattore: Gabriele Semeraro
    Gabriele Semeraro
  • 5 feb 2022
  • Tempo di lettura: 4 min

La Parola di Dio che abbiamo ascoltato ci ha mostrato tre racconti, tre storie, tre relazioni tra l'uomo e Dio.

Spesso quando parliamo di vocazione, quando sentiamo delle testimonianze sulla vocazione, quando facciamo domande sulla vocazione (questa è esperienza personale) cadiamo tutti in un enorme e madornale errore. Il nostro ascolto e le nostre domande sono viziate da un concetto strisciante che è quello della predestinazione, ma anche da un certo sentore miracolistico.

Dio ha creato tutto, sa tutto quindi ha deciso già tutto... questo però non è il Dio di Gesù Cristo! La predestinazione non ammette al libero arbitrio, non ammette la possibilità di un no mentre il Dio di Gesù Cristo l'ammette!

Sarebbe bello poter avere il tempo di spiegare tutti i significati dei simboli della prima lettura, ma quello che ci interessa oggi è che Dio non fa nessuna domanda direttamente a Isaia. Il profeta è lì che vede e ascolta, interagisce con un angelo, ma non viene interpellato in questa fase direttamente. La prima cosa che sente è la sua inadeguatezza di essere lì, il suo non essere degno e il suo stato di essere fragile. L'angelo che lo tocca coi Carboni è segno della Misericordia, del perdono.

Isaia però è ancora uno spettatore che guarda e ascolta.

Quando Dio domanda alla sua corte "Chi manderò e chi andrà per noi?" è lì che avviene qualcosa di particolare. Il profeta che non è stato interpellato da Dio direttamente, sente nel profondo che quella domanda è rivolta a lui e quindi si propone.

Vorrei che tenessimo fermo questo passaggio perché noi siamo figli di una cultura cattolica che costringe al battesimo infantile, ma questo a scapito della Libertà di scelta. Dio pone domande ma non ci obbliga a rispondere, siamo noi che a una domanda generica ci sentiamo chiamati personalmente. Si tratta del "trucco" che Dio usa per tutelare la nostra libertà individuale anche nei suoi confronti.

Il racconto di Paolo inserisce un altro tassello.

La prima cosa che racconta non è la manifestazione avuta sulla via di Damasco, l'aspetto miracolistico, ma sottolinea questo:

"A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture

e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici.

In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto".

Prima di tutto c'è la supremazia della tradizione. Si ascolta la testimonianza di ciò che è avvenuto da parte di chi l'ha vissuto e dopo c'è l'incontro personale. È interessante anche notare che questo incontro, prima di diventare di Paolo, passa attraverso la chiesa… Cristo si manifesta a Cefa, Pietro, e ai 12. Poi appare ad altri 500. Poi appare a Giacomo, che era a capo della chiesa madre di Gerusalemme, e ad altri apostoli. Infine appare a lui.

E noi sappiamo grazie agli Atti degli Apostoli e alle sue Lettere che l'Apostolo dopo la conversione e il battesimo, dopo un po di formazione, va proprio dai 12 per avere conferma.

Infine abbiamo l'episodio narrato nel Vangelo di oggi. Qui abbiamo una richiesta esplicita Gesù verso Pietro. Si tratta di una richiesta insolita infatti Gesù non è un pescatore e non sa come si pesca.

Pietro e i suoi hanno passato la notte a pescare e non hanno preso nulla. Gesù chiede di pescare di giorno e di gettare le reti dal lato sbagliato. Probabilmente nel testo originale Greco ci doveva essere un po' d'ironia nella risposta di Pietro, ma è da sottolineare che Pietro tenta.

Chissà... Forse voleva prendersi gioco di Gesù facendogli vedere che non si prende nulla, forse voleva semplicemente assecondare quell'uomo che stava imparando a conoscere. Sta di fatto che prende e parte.

Quel che accade lo sappiamo.

L'aver ascoltato e risposto alla domanda di Gesù porta Pietro a riconoscersi indegno di quella presenza e incapace di rispondere ad altro.

Eppure Gesù gli apre una nuova prospettiva "Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini".

C'è sempre una libertà personale che improvvisamente si riconosce non onnipotente, fragile e limitata.

Dio si fida e questa fiducia apre all'umanità la possibilità di un cammino nuovo.

Questi tre racconti cosa dicono alla nostra vita di oggi?

  1. Intanto ci dicono l'importanza dell'ascolto, intesa anche come lettura personale e comunitaria, della Parola di Dio, del magistero della Chiesa. L'ascolto personale non può essere mai autoreferenziale, ma va sottoposto ad altri come ci ha mostrato Paolo;

  2. Ci dicono l'importanza della nostra libertà personale. Non c'è predestinazione nel fatto che uno sia diventato prete, suora oppure sia rimasto laico. Dio ha solo predestinato una cosa per l'umanità: amarla! Come ciascuno di noi si sente interpellato e come ciascuno di noi risponde ricade sotto la sfera del nostro libero arbitrio;

  3. C'è un momento per tutti che davanti alla nostra vita e al Signore ci sentiamo inadeguati, limitati, fragile e peccatori. Questo non ci deve incastrare nella depressione spirituale, ma ci deve aprire alla fiducia che Dio ci vuole così come siamo e ama la nostra fragilità perché può trasformarla in forza.

Siamo noi che dobbiamo acconsentire che il Signore faccia qualcosa di buono attraverso noi.

Non è facile, ma ci è chiesto un grande impegno che ha tre evidenti radici:

  • L'ascolto: della Parola, della liturgia, della Chiesa e di se stessi;

  • Una buona vita di relazione con gli altri: fino al punto di condividere anche gioie, fatiche e intuizioni;

  • Il primato della Carità: come espressione di quell'amore interiore per il Signore che si apre al mondo.


Concludo questa omelia proprio con una preghiera che ci ricorda questo stile cristiano.



La preghiera è conosciuta perché attribuita a San Francesco:

O Signore, fa' di me uno strumento della tua Pace:

Dove c'è odio, fa' ch'io porti l'Amore.

Dove c'è offesa, ch'io porti il Perdono.

Dove c'è discordia, ch'io porti l'Unione.

Dove c'è dubbio, ch'io porti la Fede.

Dove c'è errore, ch'io porti la Verità.

Dove c'è disperazione, ch'io porti la Speranza.

Dove c'è tristezza, ch'io porti la Gioia.

Dove ci sono le tenebre, ch'io porti la Luce.

O Maestro, fa' ch'io non cerchi tanto:

Essere consolato, quanto consolare.

Essere compreso, quanto comprendere.

Essere amato, quanto amare.

Poiché è dando, che si riceve;

Dimenticando se stessi, che si trova;

Perdonando, che si è perdonati;

Morendo, che si resuscita a Vita Eterna.

 
 
 

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