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V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C

  • Immagine del redattore: Gabriele Semeraro
    Gabriele Semeraro
  • 9 feb
  • Tempo di lettura: 3 min

La Parola di oggi ci racconta l'esperienza dell'incontro e l'esperienza dell'essere inviati.

Abbiamo sentito di due esperienze molto differenti, intendo Isaia e Pietro, ma che hanno alcuni punti in comune e allo stesso tempo molte differenze.

Isaia ci racconta di un'esperienza mistica, di una visione, che risente fortemente della ritualità e della cultura giudaica legata al culto del tempio.

Voglio far notare alcune cose:

  1. La prima cosa che notiamo è la gloria di Dio, una gloria molto liturgica e maestosa;

  2. Il profeta vedendo la maestà di Dio si rende conto delle differenze che ci sono tra lui e il Creatore;

  3. Questa situazione genera paura, distanza, riverenza e pentimento;

  4. Dio, attraverso l'angelo, compie un'azione liturgica per rimuovere il peccato;

  5. Dio chiede un testimone da inviare e il profeta, preso dall'entusiasmo, si offre come volontario.

Nel Vangelo possiamo riscontrare alcune dinamiche simili, ma anche molte cose profondamente diverse.

Proviamo a notare quali sono i punti in comune e quelli che divergono nell'esperienza dei discepoli e di Pietro.

  1. I dodici sono con Gesù che sta predicando e sono sulla barca di Pietro. Prima differenza quindi è che Isaia ha una visione del tempio mentre Pietro e gli altri apostoli stanno facendo un'esperienza di vita concreta sulla barca.

  2. Gesù fa una richiesta strana: di andare a pescare in un orario insolito e con i suoi discepoli stanchi. Pietro fa notare che è una richiesta strana.

  3. Pietro comunque si fida e accetta di fare l'esperienza che Gesù gli propone.

  4. Davanti a un'esperienza straordinaria Pietro capisce la differenza tra lui e Gesù. Percepisce che la gloria di Gesù non è quella del tempio, ma è superiore a quella del tempio pur passando attraverso un'esperienza lavorativa… feriale.

  5. Se nel tempio l'angelo ha fatto un atto rituale per purificare Isaia, sulla barca Gesù semplicemente conforta Pietro conservandolo nella sua Grazia.

  6. Gesù sceglie come inviati le persone che sono sulla barca e quella scelta presa in quel modo determina anche uno stile di condotta dei suoi discepoli.

Sicuramente c'è una reazione di paura davanti al mistero di Dio, paura dovuta alla nostra condizione di creature, una paura che trova sempre comprensione in Dio… in entrambi i testi.

Al di là delle nostre paure e al di là di quello che siamo, Dio chiama proprio noi.

Ci chiama per nome, ci invita a fare esperienza di Lui e infine ci invia come testimoni per gli altri.

Testimoni dell'amore di Dio e testimoni della bellezza di un Dio che non si serve della paura, delle leggi e che non vuole schiavi bensì amici.

Siamo chiamati a testimoniare ciò che abbiamo sperimentato e ciò in cui noi crediamo attraverso azioni, parole e sguardi.

Vorrei sottolineare che noi siamo chiamati a testimoniare prima di tutto l'esperienza personale di Dio e l'amore di cui lui ci ha ricoperto.

Attenzione perché la testimonianza che Gesù chiede non è una testimonianza teologica, morale o dottrinale e neppure giuridica. Lo dico perché oggi diverse persone nella chiesa sono convinte che essere cristiani significa essere in linea con le norme giuridiche e andare a tormentare gli altri che non lo sono.

Siamo chiamati a essere testimoni dell'amore di Dio, della gioia e della bellezza di essere cristiani, certo anche della fatica.

Invece molti di noi portano ancora la testimonianza di un cristianesimo triste, penitente, attaccato alla norma e che tormenta gli altri.

È quello che io chiamo “il cristianesimo del no” dove tutto è peccato, dove tutto è tristezza, dove tutto l'insegnamento di Gesù viene svuotato del suo profondo significato.

Abbiamo preferito San Tommaso e Sant'Agostino, non loro direttamente, ma una loro scorretta interpretazione, rispetto al vangelo vivo di Cristo.

Abbiamo trasformato i santi da esempi e maestri in idoli e giuristi… e li abbiamo innalzati anche al di sopra del vangelo e di Gesù Cristo in persona.

Abbiamo dimenticato la legge suprema della vita cristiana che è la Carità, lo stile della vita cristiana che è la Carità e abbiamo sviluppato poco un pensiero che esplicita lo sguardo che è la Carità.

Quale Cristo abbiamo incontrato nella nostra vita se siamo cristiani perennemente tristi, con una parentesi facciale di tristezza continua sulla faccia?

Dio fa di noi pescatori di uomini cioè portatori di un'esperienza autentica di vita con Gesù. 

Ma c'è veramente questa vita?

Quanto il nostro agire, il nostro interagire e il nostro parlare dicono questa esperienza di Cristo?


 
 
 

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