VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C
- Gabriele Semeraro
- 15 feb
- Tempo di lettura: 5 min

Questa domenica veniamo portati verso il nucleo della fede e il nucleo di un buon stile di vita di di Fede.
Paolo tocca questo tema perché ha bisogno di ribadire alle proprie comunità su cosa si fonda la fede cristiana e tocca a questo argomento in maniera molto decisa. Ritengo che sia importante anche per noi toccare questo tema in maniera poco delicata perché abbiamo bisogno di uscire dalla nostra mediocrità spirituale.
Qualcuno di noi, pur definendosi cristiano, manca totalmente della fede necessaria per poter vivere un cristianesimo che si possa definire realmente tale. Spesso abbiamo trasformato la vita cristiana in una morale, in una serie di comportamenti da tenere e una serie di prassi liturgiche da osservare. Il nucleo della fede cristiana invece è che Cristo ha vissuto come noi, è morto, è risorto dai morti, è asceso al cielo, ha mandato lo Spirito Santo e alla fine dei tempi risorgerà anche noi. Tutto questo può farlo non perché è Superman bensì perché è Dio.
Non è un Dio minore, non è semplicemente figlio di un Dio bensì è lui stesso Dio con il Padre e lo Spirito.
Da questa fede consegue un determinato stile di vita dei discepoli che siamo noi.
Non sapete quante volte ho incontrato cristiani e, a volte anche catechisti ed educatori, che non hanno questa fede primaria. C'è un insegnamento teologico molto antico riconosciuto da tutte le chiese del mondo di qualunque confessione che dice: ciò che non è assunto dal Verbo non è redento. Cosa vuol dire questa frase?
La distanza tra Dio e l'uomo è incolmabile, almeno dal nostro punto di vista, pertanto l'unico che può colmare questa distanza è Dio stesso. Se Dio si fa carico della nostra umanità, con tutto ciò che comporta la nostra umanità, allora veramente possiamo essere salvati e tutto ciò che ci riguarda è amato da Dio.
In questa esperienza di assunzione da parte di Dio troviamo anche l'esperienza della resurrezione. Quanti di voi sono profondamente convinti della resurrezione di Cristo nella sua carne e quanti sono realmente convinti che anche noi risorgeremo nella nostra carne?
Troppo spesso sento, anche sacerdoti, soffermarsi eccessivamente su una Resurrezione spirituale, ma non intesa come la intende Paolo o come l'ha vissuta Cristo bensì in chiave ancora pagana. Il corpo non è una cosa brutta, è parte di quello che siamo. Io non sono solo il mio corpo, ma il mio corpo è parte di me e condiziona ciò che sono profondamente. Come puoi non credere nella resurrezione del corpo!
Se io non credo che Gesù è Dio e se io non credo nella Resurrezione del corpo allora non ho neanche le basi per poter cominciare a camminare da cristiano perché questi due elementi condizionano fortemente il mio modo di vivere.
La prima lettura e il Vangelo invece ci dicono come si vivere concretamente all'interno dell'esperienza della fede cristiana. I due testi sono molto lontani tra loro, ma allo stesso tempo dicono una cosa molto simile con linguaggi molto differenti.
La prima lettura utilizza un linguaggio di maledizione e di benedizione per far comprendere l'esito finale di un certo tipo di stile di fede. Chi confida nell'uomo viene maledetto perché non ha lo sguardo e la capacità di elevarsi verso cose più alte mentre chi confida in Dio possiede questa capacità e quindi può elevarsi al di sopra anche delle proprie meschinità.
L'eccessiva spiritualizzazione di questo testo ci rende difficile comprendere cosa realmente stia dicendo, ma soprattutto ci impedisce di vivere in modo sereno e adeguato questo insegnamento. Dobbiamo per forza di cose guardare al Vangelo delle beatitudini il quale invece ribalta ed esplicita, seppure in modo non sempre chiaro per noi, il nostro stile di vita.
Dobbiamo stare molto attenti a non leggere le Beatitudini trasformandole in quel modello cristiano un po' triste, ripiegato su se stesso e penitenziale in cui, troppo spesso, abbiamo trasformato questo Vangelo.
In questa versione delle beatitudini troviamo sia le Beatitudini sia i guai, in qualche modo è lo stesso modello della prima lettura diviso in benedizione e maledizione. L'uomo che confida nell'uomo ricade nei guai mentre l'uomo che confida in Gesù ricade nella beatitudine. Proviamo ad analizzare insieme queste beatitudine e questi guai.
“Beati voi, poveri,
perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi, che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete,
perché riderete.
Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo”
A una prima lettura superficiale potrebbe deprimerci questa impostazione delle beatitudini, ma guardate che la beatitudine non sta nella prima affermazione bensì nella conseguenza.
La beatitudine, la gioia, del povero è il regno di Dio. Il regno di Dio non è paradiso o l'aldilà, ma in chiave cristiana il regno di Dio è già la chiesa e questo tempo.
Inoltre qui non si sta parlando di povertà in senso esclusivamente economico bensì si sta parlando della povertà a 360°: economica sociale, culturale, informatica, relazionale, morale, ecc…
La beatitudine dell'affamato è che verrà saziato da qualcuno cioè troverà qualcuno che appagherà quel suo desiderio. Si sta parlando non solo della fame fisica, ma di tutte le forme di fame che abitano la nostra vita, prima di tutto quella relazionale.
La beatitudine di chi piange è che troverà consolazione cioè troverà qualcuno che si farà carico con lui del suo dolore e che lo aiuterà a vedere la luce di Cristo nella sua vita.
Il massimo della gioia di chi viene insultato per Cristo, cioè per la sua fede, è la ricompensa totale. Essere testimoni di Gesù vuol dire pagare di persona lo scotto di un messaggio scomodo, ma c'è la gioia di condurre a Cristo tanti fratelli e sorelle.
La beatitudine allora non è la parte dolorosa bensì la conseguenza, una conseguenza ad ampio respiro.
Si può vivere nell'ottica delle beatitudini solo ed esclusivamente se si è fatta un'esperienza concreta di Cristo cioè se la nostra fede è realmente radicata. Questo implica la radicalità di Paolo quando dice la divinità di Cristo e quando dice la resurrezione dei morti.
Ci sono però anche i guai cioè la maledizione…
“Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
Guai a voi, che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti”
I guai nuovamente sono legati alla conseguenza.
Chi è il ricco nell'ottica del Vangelo? È colui che si trova in una condizione di autosufficienza totale cioè non ha bisogno di niente a nessuno.
Si tratta di una condizione più che economica direi spirituale e umana. Essere ricchi economicamente, ammesso che ci si sia arricchiti in modo lecito, non è peccato. Chi si crede ricco, cioè appagato e autosufficiente, paga lo scotto della condanna… è convinto di essere a posto e quindi non cerca nessun tipo di relazione.
In quest'ottica vanno letti tutti i guai che, se ci fate caso, partono tutti da una sensazione di autosufficienza che non ha bisogno di niente e di nessuno. È l'esperienza dell'inferno, è l'esperienza del mondo che ci educa alla via dell'autosufficienza e si dimentica che siamo tutti interdipendenti.
La via del cristiano è la via della Libertà che riconosce di aver bisogno dell'altro, che è il fratello o la sorella, come allo stesso tempo ha bisogno di Dio.
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