Vita fraterna: fraternità cristiana e fraternità sacerdotale.
- Gabriele Semeraro
- 20 mag 2022
- Tempo di lettura: 6 min

Quando entrai in convento nella mia prima esperienza, mi furono dette due cose che mi colpirono molto… due cose che, a causa del facile fraintendimento, hanno causato e causano grande dolore a me e ad altri.
Vedi la croce vuota sopra il letto? Ti ci devi crocifiggere tu!
Vita fraterna massima gioia e massima penitenza.
Voglio soffermarmi sulla seconda che mi fu detta come battuta ed è questa: "vita fraterna massima gioia e massima penitenza".
Quella della fraternità/sorellanza è una questione fondamentale e fondativa della fede della fede cristiana. Nel Vangelo spesso si accenna al fatto che la comunità dei/lle discepoli/e è tale perché vive insieme, spesso si fa riferimento al fatto che i/le discepoli/e vengono inviati/e "due a due". Infine leggendo Atti degli Apostoli si nota come la prima comunità di Gerusalemme non ha semplicemente una vita comune, ma anche una condivisione di beni.
Tutte cose fondamentali, ma che vanno contestualizzate all'interno delle vicende della Scrittura e del periodo storico. Bisognerebbe prendersi il tempo per vedere l'esito di queste scelte, bisognerebbe prendersi il tempo di vedere le evoluzioni e bisognerebbe prendersi il tempo di vedere le altre forme che sono nate lungo la storia.
Il concetto di "vita fraterna" muta in base a diversi fattori: la propria condizione di vita, il contesto culturale e il periodo storico.
Facciamo l'esempio della comunità di Gerusalemme dove la condivisione di vita e dei beni porta un fallimento della chiesa stessa tanto che nelle lettere di Paolo la identifica come la più povera delle chiese. Sempre Paolo a un certo punto a causa di problemi di vita fraterna con un altro discepolo decide di prendere le distanze e fare un percorso differente.
Parlando sempre delle esperienze di vita fraterna e delle esigenze del Vangelo di oggi, possiamo pensare al fatto che in base allo stato di vita questa esigenza sia profondamente diversa.
Il monaco e la monaca, il frate e la suora, fanno della vita fraterna una questione centrale tanto che sono chiamati/e a viverla come se fossero in una sorta di "famiglia". La lora fraternità/sorellanza prevede che ogni aspetto della vita sia condiviso, sotto la lente dei superiori e della comunità. Un laico e una laica, a prescindere che siano sposati o single, sono chiamati a vivere la fraternità/sorellanza nella vita in modo differente e meno invasivo.
La sto facendo semplice… perché poi ci sono laici/che, sposati/e o single, che scelgono di entrare a far parte di un terzo ordine nel quale si richiede una vita fraterna un po' più condivisa.
E il prete secolare?
La questione è complessa.
Il prete secolare, il prete diocesano, vive alla maniera della gente del secolo, è chiamato a vivere con la propria gente nel loro modo specifico, pur facendo parte di una fraternità sacerdotale.
Dicevo che è una questione complessa perché effettivamente, dal punto di vista storico, il prete potrebbe scegliere di vivere la sua vita sia sullo stile dei religiosi (vita comune) sia sullo stile dei laici.
Spesso, soprattutto negli ultimi anni, siamo sottoposti all'interno dell'ambiente ecclesiale a ondate di ritorno rispetto ad una "fraternità sacerdotale effettiva", mi verrebbe da dire sullo stile dei conventi. Sia chiaro, è legittimo…
Nonostante sia legittimo, nonostante non ci sia nulla di male, nonostante sia consigliabile, nonostante i valori che può portare questa forma di vita… bisogna ricordare che il prete è chiamato a vivere alla maniera del secolo. Non tutti i preti sono in grado di vivere quel tipo di fraternità, ma magari sono in grado di vivere la forma richiesta alle persone laiche.
Certamente il pericolo di diventare zitelloni c'è, il pericolo di smettere di cercare la fraternità sacerdotale è alto.
Credo però che una delle questioni calde sia proprio quella della fraternità sacerdotale.
Come si vive la fraternità sacerdotale? Che cos'è?
Perché noi siamo chiamati a fare fraternità/sorellanza con tutti/e e tra tutti/e, ma evidentemente la fraternità sacerdotale avrà un suo specifico che però, a mio parere, non va confuso e non si identifica strettamente con "la vita comune" oppure con forme di "condivisione forzata".
Ho l'impressione, ma forse mi sbaglio, che invece di investire sulla formazione ad una fraternità libera e consapevole si stia scegliendo invece di imprigionarla all'interno di regolette, forme e dinamiche di potere che assumono una forma pseudo-gerarchica.
Tante volte si dice che la fraternità non è amicizia, che la fraternità non si sceglie, che la fraternità non si può imporre, ecc…
Insomma sappiamo bene cosa non è, ma non riusciamo ad andare alla radice di quello che è senza incappare nella tentazione di darle delle forme standard e obbligatorie, senza rischiare di imprigionarla in dinamiche di potere.
Vi faccio una confidenza…
Io sono una persona che, amando profondamente la propria famiglia biologica, fa molta fatica in una vita domestica tanto più ora che sono adulto.
Con questo non voglio dire che non mi piace stare spesso con i miei genitori, ma questo è possibile perché negli anni abbiamo sviluppato le nostre dinamiche e i nostri spazi che ci permettono di sopravvivere agli spigoli più duri dei nostri caratteri e delle nostre personalità. È normale per me vivere con loro perché sono "carne della mia carne e osso delle mie ossa", questo non sarebbe possibile con nessun altro.
Negli anni di formazione ho dovuto lavorare molto sulla comprensione e lo sviluppo, dal punto di vista concreto, di questo evanescente concetto di "fraternità". Non sono ancora arrivato a una conclusione, ma mi sembra che anche tutti gli altri non ci sono arrivati ancora.
Ho l'impressione che per seguire alcune manie e alcune letture religiose si voglia imporre forme che però rischiano di uccidere le persone più fragili a livello fisico, psicologico e spirituale.
Un conto è se uno sceglie esplicitamente quella forma di vita a prescindere dal fatto che sia: un religioso, una religiosa, un prete, un laico, una laica, un/a single, sposato/a, ecc… un altro discorso è imporre quella forma per ragioni puramente ideologiche.
Dobbiamo andare alla radice della questione e ciascuno deve sviluppare la forma più consona alla propria vita personale ed ecclesiale.
Nelle dinamiche di potere la fraternità/sorellanza non è possibile! Attenzione, non ho detto quando c'è una gerarchia, ma quando c'è una dinamica di potere!
Si può essere tranquillamente in una dinamica gerarchica e avere vita fraterna come stile anche senza vivere effettivamente insieme.
Nel momento in cui la fraternità diviene una questione obbligata, smette di essere fraternità e rischia di diventare una dinamica mafiosa.
Questa riflessione non è conclusa, ma resta aperta perché ciascuno deve fare i conti con questo aspetto fondamentale e fondativo dell'essere credente e dell'essere in relazione con.
Vorrei dire però un'ultima cosa su una frase che gira spesso in ambiente ecclesiastico soprattutto tra il clero e il seminario che riguarda proprio la vita fraterna e la fraternità sacerdotale.
"Vivi in seminario come fossi in un condominio" oppure come un prete una volta mi ha detto "non possiamo mica vivere come in un condominio, da cordiali estranei".
Mi fa sorridere questa forma perché ho l'impressione che le persone che dicono questa frase o hanno una brutta esperienza della vita di condominio oppure, molto più probabile, non hanno mai vissuto in condominio.
Io non conosco le esperienze di tutti, ma mi verrebbe da dire che la mia esperienza è ben diversa ed è estremamente di relazione e di fraternità/sorellanza. Nei condomini dove ho vissuto tutta la mia vita prima di entrare in seminario (e sono diversi) ho fatto esperienza di controllo reciproco sulla sicurezza, saluti, favori, litigi, condivisione di alimenti, aiuto per le pulizie e non solo, condivisione di vestiti e tanto tanto altro…
Nella mia esperienza, che potrebbe essere anche particolare e unica, il condominio diviene una dilatazione di alcuni aspetti familiari e di vita fraterna reale addirittura all'interno del quartiere stesso.
Ai laici e alle laiche che leggeranno questa riflessione dico di aiutare i propri sacerdoti a uscire da certe manie religiose anche sul tema della fraternità/sorellanza.
Alcuni di loro sono entrati in seminario molto giovani, addirittura minorenni, e non sanno più cosa vuol dire vivere in famiglia oppure in un condominio.
Alcuni hanno assolutizzato la loro esperienza familiare e credono sia l'unica forma possibile comune a tutti, ma non è così.
Diversi sacerdoti hanno dimenticato la fatica del vivere, non conoscono l'etica del lavoro, non sanno cosa sia la fatica per mettere il piatto a tavola oppure per pagare una bolletta.
Chi mi conosce sa che sono sempre stato un grande sostenitore dei seminari minori, ma conoscendo diversi confratelli che hanno fatto quell'esperienza mi viene da dire che forse è un'esperienza che a lungo termine rischia di fare danno!
Io cerco di non dimenticare mai l'esperienza della famiglia, l'esperienza del lavoro, la fatica di arrivare a fine mese, il dover pagare gli studi e tutto ciò che vivevo da laico perché è la mia risorsa più grande come sacerdote e come cristiano.
L'esigenza dell'amore reciproco, di cui la fraternità ne è un'espressione fattiva, non può essere uguale con tutti e per tutti, ma può assumere forme più forti e più blande…
La nostra grande fatica è che non abbiamo ancora compreso che l'amore assume delle forme visibili, ma non ha un'unica forma standard per tutti e pertanto la vita fraterna risente dello stesso problema.
Buon proseguimento di riflessione…
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