XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO B
- Gabriele Semeraro
- 3 ago 2024
- Tempo di lettura: 7 min

Come avete sentito siamo ancora all'interno dei discorsi eucaristici iniziati domenica scorsa.
Sia la prima lettura, sia il salmo e che il Vangelo ci parlano di cibo. Dicevamo domenica scorsa che c'è una fame esistenziale che abita la nostra vita ed è una fame complessa perché non è solo fame di cibo terreno, ma una fame vasta che va dal cibo terreno a quello spirituale, da quella affettiva a quella intellettuale. Dio vuole saziare la nostra fame.
Nella prima lettura abbiamo udito che gli ebrei si comportano un po' come noi liguri: invece di rimboccarsi le maniche e provare a chiedere, preferisco mugugnare passivamente. Mi fa sorridere perché avviene anche nelle nostre parrocchie… tante chiacchiere, tanto mugugno e tanta critica, ma quando c'è bisogno di agire allora spariscono tutti.
Salvo poi che quando si cambiano le cose allora si urla sui giornali o nelle piazze.
Ecco noi e gli ebrei siamo accomunati dallo stesso peccato cioè quello della mancanza di fiducia, mancanza di iniziativa e passivismo costante, ma il chiacchierare ci convince che stiamo facendo qualcosa anche se non è vero.
Gesù nel Vangelo ha fatto un segno grosso. Domenica scorsa abbiamo sentito come il maestro moltiplica i pani e i pesci come segno Eucaristico e come segno che lui può saziare la nostra fame.
La gente non capisce niente e fraintende il segno. Domenica scorsa abbiamo sentito che volevano farlo re e Gesù fugge, mentre questa domenica abbiamo sentito che lo trovano e ne nasce un dialogo non proprio piacevole.
Noi siamo sempre lì a chiedere cose per la nostra vita e lo facciamo in modo passivo. Quello che ci viene richiesto è un cambio di logica… non ci viene chiesto di non domandare ciò di cui abbiamo bisogno, anche di materiale, ma di impegnarci personalmente in ciò che è essenziale… cioè di fare qualcosa anche di concreto.
Dice Gesù “Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo”.
Ci viene chiesto non di essere passivi nella vita, ma di metterci in gioco in prima persona concretamente mentre oggi noi rimaniamo incastrati solo ed esclusivamente nelle chiacchiere sterili.
Uno dei grandi mali del nostro tempo e della nostra cultura religiosa è proprio il passivismo spirituale. Ci siamo convinti che essere cristiani voglia dire pregare, magari fare qualche digiuno e veniva messa la domenica in modo ossessivo, ma sempre passivo. Non è così.
C'è un cibo spirituale che nasce in tre modi: l'ascolto della Parola, l'Eucaristia e la relazione con gli altri. Paradossalmente potrebbe mancare per un certo periodo l'Eucarestia, ma se manca mancano gli altri due aspetti non ha senso definirsi cristiani… discepoli.
Guardate che Gesù non dice che per fare l'opera di Dio bisogna partire missionari, ma dice una cosa che noi dobbiamo intendere bene cioè in modo corretto.
Dice Gesù: “Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato”.
Cosa vuol dire credere in colui che egli ha mandato?
Molto spesso sento nelle interviste in TV, parlando con le persone, parlando coi ragazzi a catechismo o a scuola tante cose sul credere, allora chiedo ai miei interlocutori se sono cristiani e se credono in Dio. Molti dicono “sì” fraintendendo la mia domanda.
Sono convinto che se facessi la stessa domanda a voi sbagliereste allo stesso modo quasi tutti. Noi abbiamo un grosso fraintendimento culturale per cui credere in Dio pensiamo voglia dire credere che lui esista.
Non è questa roba qui la fede e non è questa roba qui credere in Dio. Io posso anche credere che Dio esista, ma se quel Dio non ha a che fare con la mia vita personale allora è inutile. Attenzione non sto dicendo che è inutile credere che lui esista bensi che è inutile quel Dio perché è identico al motore immobile dei Greci.
Un Dio lontano che ha lanciato la palla della storia e che poi se n'è fregato di noi.
Il Dio che ci rivela Gesù Cristo, che è se stesso, è un Dio diverso… è un Dio di relazione.
Nel linguaggio del vangelo e dei cristiani credere in Gesù, aderire a lui e compiere l'atto di fede ha risvolti estremamente concreti e pratici a causa del principio d'Incarnazione.
Dio si fa uomo e resta uomo anche dopo l'ascensione al cielo. Aderire a Lui significa non che io mi metterò lì a sgranare il rosario o a venire a tutte le messe possibili e immaginabili, ma che prima di tutto cambio il mio modo di stare nel mondo e il mio modo di guardare al mondo. Vuol dire non usare delle relazioni con gli altri, ma viverle.
Se uno veramente incontra Cristo, aderisce al Vangelo, si nutre del pane Eucaristico e decide di aderire a quel modello di vita allora non ha più fame. Quell’adesione comporta che ciò che io ascolto, celebro e di cui mi nutro mi trasforma e mi aiuta a vivere quello che ho contemplato nel mistero.
Significa che l'atteggiamento da pentola di fagioli che ribolle, che mugugna e che chiacchiera deve sparire per lasciare spazio ad azioni concrete.
Quando si agisce il peccato non manca mai, quando ci si mette in gioco l'errore è dietro l'angolo, ma non importa perché tu stai agendo, stai provando a vivere sulla linea di un Vangelo che ti dice “ti voglio nutrire e voglio nutrire ogni aspetto della tua vita”.
Chi sa solo chiacchierare, mugugnare e stare seduto sulle panche della chiesa commette un peccato di bestemmia molto più grave di qualunque discepolo che, pur sbagliando gravemente, si mette in gioco perché vuole seguire Gesù.
Non possiamo permetterci come discepoli di essere passivi e immobili Perché Dio con noi non è stato né passivo né immobile.
Noi cristiani, non dico solo cattolici bensì cristiani, non possiamo permetterci di essere persone che escludono gli altri perché Dio ha guardato il nostro peccato e non ci ha escluso.
Credere che Dio faccia parte della mia vita e celebrare l'Eucarestia significa che io personalmente voglio provare a mettermi in gioco spezzandomi per gli altri come Cristo si è spezzato per me in quel pane e sulla croce.
Fare comunione con Cristo, la comunione, significa che quel pezzo di pane che è Dio entra in relazione con me e io desidero fare la stessa cosa entrando in relazione con gli altri.
Certamente quella relazione potrebbe essere fallimentare, potrebbe richiedere delle prudenze e potrebbe richiedere anche di essere, a volte, bloccata.
Guardate che l'Eucarestia ci libera dall'egocentrismo se veramente aderiamo attivamente all'azione di Dio.
La lettera agli Efesini è molto chiara in tal senso… se io ho aderito a Cristo non posso permettere all'uomo vecchio di emergere nella mia vita.
L'uomo vecchio è colui che si lascia dominare dalle passioni naturali dimenticando che la sua vita è invece chiamata a sublimare e a superare le dinamiche dell'uomo animale. È la via del “porgi l'altra guancia”, è la via di colui che alla legge morale (Canonica e civile) preferisce vivere in prima persona il comandamento dell'amore, è la strada di coloro che sanno che la vita cristiana è un perenne servizio agli altri… non è volontariato e non ci rende più buoni, ma è un servizio doveroso agli altri e per parafrasare il Vangelo, chi vive in questo stile sa che “è un servo inutile, ha fatto quello che doveva fare”.
Chi non vuole aderire a questa via impegnativa, a mio parere, può anche uscire dalla Chiesa e può sentirsi libero di non partecipare più a l'Eucarestia.
Sapete perché dico questa cosa? Perché perseverare nel ricevere il dono di grazia e non voler provare a vivere la via del vangelo è una bestemmia continua e soprattutto danneggia profondamente l'immagine della chiesa nel mondo.
Dobbiamo dirci con estrema serenità che se le chiese sono vuote è colpa nostra, di noi che siamo qui!
Se io scelgo di aderire a Cristo, ed è una scelta reale, le mie azioni proveranno a seguire Cristo e probabilmente spesso falliranno, ma… c'è un “ma” grosso perché chi mi sta intorno si renderà ben conto della mia fragilità e del peccato, ma non vedrà le mie incoerenze come un atteggiamento malevolo bensì di fragilità personale e me la perdonerà.
Vado alla conclusione facendovi alcuni esempi che vi ho già fatto alcune domeniche fa…
San Pio da Pietrelcina, uomo violento e da denuncia, è Santo grazie anche alla lotta spirituale e alla paternità spirituale. Santa Madre Teresa da Calcutta, donna omofoba e spiritualmente violenta verso i diversi, è Santa perché ha lottato contro le proprie inclinazioni ed ha abbracciato Cristo nei poveri.
San Giovanni Paolo II il quale è un grandissimo Santo per la vita che ha compiuto, ma che oggettivamente nel governo della chiesa ha commesso anche enormi errori come ad esempio la gestione della questione pedofilia… è Santo.
Vedete la santità non dipende dall'essere perfetti o dal non sbagliare mai, bensì dall'aver aderito con tutto se stessi a Dio avendo provato ad agire di conseguenza… a volte sbagliando, ma rimettendosi sempre dietro al Vangelo.
Ecco perché dicevo che chi non vuole fare lo sforzo di essere cristiano, ma preferisce essere un cristiano da panca cioè il cristiano solo della Messa domenicale, è meglio che esca e non venga più fino a quando non si sente veramente chiamato da Dio ed esplicitamente decide di aderire a quella forma di vita.
La stessa cosa vale per coloro che sono più attaccati alle leggi e ai comandamenti, a coloro che sono sempre in lotta verso gli altri e utilizzano il linguaggio religioso per abusare dell'anima e della psiche altrui, vale anche per chi è ossessionato dalla forma e dall'apparenza della fede dimenticando che la chiesa non è mai stata uguale a se stessa bensì è sempre cambiata.
La porta della chiesa è sempre aperta, ma sarebbe bene farsi un giro fuori e ricentrarsi perché scegliere di stare qui vuol dire scegliere la via dell'inclusione, dell'introspezione, delle opere di carità concrete, della lotta spirituale contro le proprie inclinazioni al male e vuol dire mettersi perennemente in discussione per tutta la vita.
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