XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C - Ingresso a Finalborgo
- Gabriele Semeraro
- 15 ott 2022
- Tempo di lettura: 5 min

Non è facile commentare la Parola di Dio di oggi per tante ragioni e ancor di più perché rappresenta un po' l'inizio del mio viaggio pastorale con questa comunità.
Prima di lasciarci guidare dalla Parola di Dio vi dico subito la mia impostazione, il mio light motive, che mi sentirete ripetere allo sfinimento per tutto il tempo che presterò servizio in questa comunità e che ha molto a che fare con il Vangelo di oggi.
Si tratta di smontare radicalmente certe convinzioni di noi cattolici che frequentiamo.
Ripero: ha molto a che fare con il Vangelo di oggi.
Non si è buoni cristiani perché si viene messa, perché si recita mille rosari o perché si ha tanta devozione per la Madonna e i santi… tutto questo è inutile se non è accompagnato dalla carità concreta e quotidiana.
Se io prego tanto, ma poi sono: acido con tutti, tratto male il vicino di casa, sono razzista, sono misogeno, sono omofobo, parlo sempre male di tutti fuori e dentro la parrocchia, non mi interesso a nessuno che non faccia parte della mia cerchia ristretta, sono una persona utilitaristica, ecc… non sono cristiano e non sono un salvato, ma anzi mi condanno da solo.
Il fatto che abbiamo ridotto l'essere cristiani praticanti alla partecipazione alla messa o alle devozioni è deleterio e demoniaco.
Detto questo possiamo guardare al Vangelo di oggi e ricordarci che c'è un primato della vita credente, un'esigenza, l'esigenza della preghiera continua che però ha la sua radice nella vita. Se io vivo realmente e incontro persone allora ho molto di cui pregare. La vita si fa preghiera e la preghiera si fa vita.
Se io chiedessi a voi, che cos'è la preghiera? Cosa vuol dire pregare… Cosa mi rispondereste?
Io per spiegare questa dimensione in modo semplice la proporrei in questo modo… è come quando torno a casa, a Savona, mi siedo a tavola con i miei genitori e racconto loro tante cose che mi sono successe, racconto le mie fatiche, racconto le mie gioie e cerco con loro una relazione. A volte devo chiedere a loro di aiutarmi perché da solo sono incapace di fare tante cose e loro spesso mi danno tutti gli aiuti possibili e forse anche qualcosa di più.
La preghiera è questo! È relazione, è fiducia!
Sapere che in Dio c'è un interlocutore importante con cui posso parlare, discutere, litigare e arrabbiarmi. Sapere che lì c'è chi mi può aiutare, chi mi corregge, rimprovera e soprattutto abbraccia nel momento del perdono.
Gesù parte da questa concezione di preghiera ed è per questo che nel Vangelo si parla di "necessità di pregare sempre".
Se una persona ti interessa e ha a che fare con te, tu ci parli e la cerchi.
Il Signore per far capire chiaramente agli interlocutori cosa vuole dire "pregare" e come Dio ascolta, decide di fare un esempio assurdo.
Utilizzando la figura di un giudice disonesto che obbedisce alla legge per non essere disturbato e paragona questa figura a Dio… Dio non è un giudice disonesto e quindi non ci lascerà mai soli e inascoltati.
Dice Gesù "Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente".
Ovviamente non dobbiamo cadere nell'inganno di credere che Dio ci risolverà tutti i nostri problemi e si sostituirà a noi.
Non dobbiamo neanche credere che lui farà esattamente quello che vogliamo noi e magicamente eliminerà tutto ciò che la nostra fragilità umana implica. No, no.
Un grande vescovo, don Tonino Bello, diceva: "Voi potreste chiedermi: ma tu sei felice? I miei problemi il Signore non me li risolve, li devo risolvere io.
Però mi dà il senso, l’orientamento.
Dà senso al mio tormento, alle mie lacrime, al mio pianto, ma anche alla mia gioia, al mio andare avanti,
al mio dare aiuto. Dà senso!"
Parlare con Dio e pregarlo non risolve magicamente i nostri problemi, i nostri lutti, le nostre malattie e tutto il mistero del male.
Gesù ha attraversato tutto questo e l'ha vinto perché ha trovato un senso nel Padre.
Una vita orante, di preghiera, non vuol dire che si recita continuamente solo formulette, Ave e Pater. Una vita di preghiera è dialogo con tutti, un dialogo che diviene dialogo personale e comunitario con Dio.
È un dialogo che apre ad azioni e sguardi gentili e accoglienti.
Cominciamo da noi e dai nostri servizi in casa, in chiesa o in qualunque spazio del nostro vivere.
Siamo persone libere che vivono realmente o persone che cercano "spazi di potere" tipici di una religiosità falsa?
Avere fede vuol dire fidarsi e affidarsi, non solo di Dio, ma anche e soprattutto di chi cammina con noi.
Voglio farvi alcuni esempi concreti che nascono da precedenti esperienze pastorali.
Se il leggere in chiesa posso farlo solo io altrimenti mi arrabbio e litigo con tutti… non è servizio, ma potere! Difficilmente adempirò all'esigenza di una preghiera continua e pura.
Se in casa non aiuto mai e pretendo sempre da moglie, marito e figli… non è servizio amoroso, ma potere! Difficilmente adempirò all'esigenza di una preghiera continua e pura.
Se la messa è il mio spazio personale e sono musone perché i bambini e gli altri mi danno fastidio… non è preghiera e non servizio alla comunità, ma potere ed egoismo! Difficilmente adempirò all'esigenza di una preghiera continua e pura.
Se essere nel coro vuol dire imporre alla comunità solo ciò che piace a me senza aprirsi alla possibilità di un'interazione di dialogo con catechisti oppure altre realtà parrocchiali… non sono più a servizio della comunità , ma del mio egoismo. Difficilmente adempirò all'esigenza di una preghiera continua e pura.
Se sono un pastore o se sono un catechista incapace di adattarmi, di ascoltare chi mi guida, di ascoltare chi ho davanti… se il mio stile di vita diventa "si è sempre fatto così" oppure "io sono fatto così" allora non sono più a servizio e non sono più in ascolto dello Spirito Santo! Difficilmente adempirò all'esigenza di una preghiera continua e pura.
La domanda di Gesù "il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?" ci dovrebbe angosciare!
Avere fede non è sbattere il Vangelo come un bastone sui denti di coloro che noi riteniamo "diversi" come divorziati, omosessuali, diversamente credenti, poveri, ecc… avere fede non è fare come fanno alcuni cosiddetti cristiani da Family Day o da associazioni pro vita che urlano contro gli altri e con la scusa del Vangelo odiano tutti.
Avere fede è provare a fidarsi di Dio attraverso tutti senza pregiudizi, con amore, gentilezza e facendo posto a chiunque voglia avvicinarsi, per come ne è capace, a Gesù e alla comunità.
Quando Gesù chiede nel Vangelo "Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?" fa questa domanda perché veramente a volte è difficile continuare a credere nella Provvidenza di Dio.
Il mistero del male, della morte, del peccato, della malattia e delle violenze sui più piccoli rende difficile la nostra fede…
Avere fede nel Dio di Gesù Cristo però è una cosa seria perché vuol dire credere in un Dio che apparentemente viene sconfitto dal mistero del male e attraversandolo lo vince. Un immagine diversa è idolatrica e falsa ecco perché è così difficile avere fede, affidarsi e fidarsi.
Chiediamo al Signore di diventare persone capaci di fiducia, persone capaci di mettersi in dialogo con tutti senza pregiudizi e preconcetti, persone innamorate più dei fratelli e delle sorelle piuttosto che delle regole e della dottrina.
In questo modo la vita si farà sempre più preghiera e la preghiera si farà sempre più vita, in questo modo quando incontreremo personalmente il Padre lui ci abbraccerà e ci accoglierà non da estranei, ma da figli e figlie.
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