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Vocazione... pensieri in libertà

  • Immagine del redattore: Gabriele Semeraro
    Gabriele Semeraro
  • 28 ott 2016
  • Tempo di lettura: 5 min

vocazióne s. f. [dal lat. vocatio -onis, propr. «chiamata, invito», der. di vocare «chiamare»]. – 1. Chiamata, richiamo, appello o invocazione. In senso proprio è d’uso assai raro, limitato quasi esclusivam. alla frase v. ereditaria, con cui si indica in diritto (frequente in questa accezione la forma lat. vocatio) la «chiamata alla successione» (o più propriam. la «delazione ereditaria», cioè l’attribuzione all’erede del diritto di accettare o rifiutare l’eredità), e ad alcune espressioni del linguaggio grammaticale, come complemento di v., quello che si esprime con il caso vocativo (v.). 2. fig. Disposizione, tendenza a qualche cosa. In partic.: a. Nel linguaggio eccles., e in genere nella storia delle religioni, v. religiosa o sacerdotale, v. all’apostolato laico, orientamento, avvertito come una chiamata di Dio, ad abbracciare lo stato religioso, il sacerdozio, le varie forme di apostolato, e in senso più soggettivo la disposizione, sentita più o meno intensamente, a tali forme di vita e di attività: avere, sentire v. al sacerdozio, alla vita claustrale, all’attività missionaria; farsi prete,monaco, suora senza vera v.; perdere la vocazione. b. Inclinazione naturale ad adottare e seguire un modo o una condizione di vita, a esercitare un’arte, una professione, a intraprendere lo studio di una disciplina, e sim.: avere, sentire v. al matrimonio, alla vita coniugale; avere v. a, o per, la musica, l’arte, la letteratura, le scienze, il teatro; avere, non avere v. a fare l’insegnante, il sindacalista, il medico, l’attore, ecc.; fare qualcosa per v.; non bisogna impedire ai figli di seguire la propria vocazione. c. In agricoltura (spec. in viticoltura), e in zootecnia, speciale idoneità di un terreno a una determinata coltivazione, e rispettivam. di razze animali a una determinata produzione: v. viticola; colline di alta v. per la coltura di un particolare vitigno; vacche a v. carnea, lattifera.

(ENCICLOPEDIA TRECCANI)


Come possiamo vedere dalle definizioni qui sopra, il termine “Vocazione” oltre ad essere desueto è anche utilizzato in senso spesso restrittivo. In ambito cattolico spesso viene utilizzato restringendo totalmente il suo significato e riducendolo esclusivamente all’ambito della vita consacrata o al cammino sacerdotale.

Per poter parlare di vocazione bisogna allora baipassare questo termine. Inoltre il tema della vocazione, a mio parere, pone il grande problema dell’equilibrio tra libertà e predestinazione.

In definitiva… sono libero di determinare il mio cammino o sono necessitato a sceglierlo?

E poi… questo discorso vale per tutti?

Non credo di poter rispondere in modo esaustivo e certo, ma vi espongo alcuni pensieri in libertà.

“Vocazione” come poterlo tradurre? Il termine in se e per se presuppone in prima istanza qualcuno che “voca” che chiama. Si sta presupponendo l’esistenza di un essere (divino?) o di una pulsione psicologica che muove verso… o meglio attira verso!

Il termine sembra insinuare quasi una mancanza di libertà o una libertà condizionata…

Potremmo dire che il termine sembra suggerire il fatto che ogni uomo è “fatto” per qualcosa e che solo ponendosi in linea con quel “qualcosa” si può vivere in pienezza e “funzionare” (come un ingranaggio di orologio).

Dal punto di vista di un credente la “vocazione” potremmo definirla come “il modo in cui Dio mi ha fatto e in cui mi chiede di vivere il mio essere cristiano a servizio dei fratelli”.

Ma tutti abbiamo una vocazione? Cioè per tutti c’è questa voce che suggerisce il proprio posto? E la libertà personale?

Sì e no. Tutti siamo stati chiamati all’esistenza e tutti siamo stati chiamati a relazionarci tra noi e con Dio. La prima chiamata è quella di essere simili a Dio nella relazione con Lui, tra noi e con il creato. Poi c’è una chiamata ad essere proprio simili a lui… in un processo di “divinizzazione”! Stiamo parlando della chiamata al Battesimo che ci rende “figli nel Figlio”. Di per sé queste “due vocazioni” sono per tutti gli uomini anche se non tutti riescono a giungere al Battesimo.

La libertà personale resta. Dio ci propone come essere pienamente uomini e figli, ma noi possiamo dire “no” in modo più o meno consapevole (il più delle volte in modo inconsapevole).

Non tutti si rendono conto che qualcuno li sta chiamando. A volte non si ha l’udito allenato a sentire quella voce sottile e potente.

Per i cristiani si apre un’ulteriore dimensione della chiamata…

Diciamo subito che il termine “vocazione” presuppone il concetto di relazione. Non c’è consapevolezza di vocazione senza uno sforzo di relazione.

Come dicevo prima, la “vocazione” non è obbligante, ma richiede la libertà personale… inoltre ricordo ciò che ho già detto cioè che per i cristiani la “vocazione” è la “modalità personale e specifica” di vivere la sequela (è il modo di essere e vivere l’essere cristiano).

Quale chiamata? E se rispondo male e me ne accorgo tardi?

Ciascuno ha la sua chiamata, ma non è facile comprenderla. Il poter comprendere il “proprio posto” presuppone un lavoro d’introspezione e approfondimento che purtroppo molti di noi non fanno. Ci si sente a posto perché si va a messa, ma poi si vive da ottimi atei moralizzati.

Non basta mica “non fare nulla di male”. Quanto è facile confondere, nel pensare comune, la pulsione con la vocazione.

Tutti dovrebbero fare un discernimento…

vi faccio un esempio:

per diventare prete e/o religioso/a ci vuole almeno 5 anni + 1 di formazioni e discernimento, ma per sposarsi? E chi decide di rimanere celibe e nubili, ma vivendo nel mondo?

Solo la chiamata religiosa e sacerdotale sembra necessitare di un discernimento, ma non è così!!! Quanti matrimoni falliti? Quanti “cristiani fai da te”?

La vocazione non è “cosa da preti”, ma è cosa da figli!!!!!! è importante!

La vocazione non è una malattia e non si sentono “voci”. Non è che uno si sveglia e sente Dio che gli dice “devi sposarti” oppure “devi essere prete”, ecc…

Inoltre sfatiamo il mito che, chi aderisce a certi tipi di chiamata, è perché “ha trovato la pace dei sensi” (religiosi/e e preti) o perché non potrebbe vivere la continenza (sposati).

Forse queste cose vi faranno ridere, ma non sapete quanta gente di ogni ceto cade facilmente in questi luoghi comuni… comunque ne parlerò in uno dei prossimi video.

Chiarito che la vocazione non è una malattia inevitabile… come discernere?

Non esiste un età del discernimento! Prima si comincia meglio è.

NON SI DISCERNE DA SOLI! Il cammino di discernimento va sempre fatto con la Chiesa e può tranquillamente durare anni. Non si deve avere fretta… che si tratti di matrimonio o di consacrazione.

Si può sbagliare… certo… Ma normalmente, se il discernimento è stato serio, si trova la propria strada.

Ma se ci si sbagliasse?

Ho fatto questa domanda ad un prete anziano… lui mi ha risposto che a quel punto la strada è quella dell’offerta della fatica. Pensiamo ad uno che si sposa con una persona buona e che ama... si rende conto di non essere fatto per il matrimonio, ma ormai è sposato. Che fare? La strada è quella di continuare ad amare e rispettare sua moglie offrendo a Dio la sofferenza che “per propria negligenza si è cercato” (metto tra virgolette perché la frase rende male rispetto al concetto che ho in testa). Esempio analogo potrebbe essere per un prete (anche se è più facilmente risolvibile).

E i non battezzati?

Chiarito che la vocazione alla vita e a divenire “figli nel Figlio” è per tutti… sappiamo che molti non arrivano a questa chiamata alla filiazione. In senso stretto non possiamo parlare di chiamata poiché queste persone sono ancora a livello di “figli” intesi come creature a immagine di Dio. Anche nel caso del matrimonio si può parlare solo in senso lato di “chiamata” perché la realtà, nel loro caso, non è ancora stata permeata da Cristo e si è fermata ad un livello naturale.

Il tema della vocazione è ampio… ci rifletteremo ancora insieme…

scusate per la confusione, ma come detto sono pensieri in libertà


 
 
 

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